"Lisola", 19 settembre 1997
Si è vero a Pianosa si può andare liberamente, ma...
Martedì 18 agosto ci siamo recati alla biglietteria Toremar di Porto Azzurro e, senza permessi, autorizzazioni o raccomandazioni di amici abbiamo acquistato un biglietto per Pianosa. Una volta saliti a bordo della nave Planasia ci siamo subito resi conto di qualcosa di diverso dal solito, e più navigavamo verso la "bistecca" più questa sensazione prendeva forza. I viaggiatori avevano pantaloni corti, magliette, berrettini, macchine fotografiche, c'erano molti bambini...è si, forse per la prima volta, dopo oltre 150 anni di carcere, Pianosa avrebbe ospitato dei turisti. Si trattava di un avvenimento importante, anzi importantissimo, che solo chi ha vissuto la realtà Pianosina può veramente comprendere. Un primo piccolo passo verso il nuovo, ma un grande passo, se si considera che con esso Pianosa vive una condizione diversa da quella di carcere per avvicinarsi alla società civile.
Durante la navigazione parliamo con alcuni dei viaggiatori, molti di essi conoscono Pianosa solo in fotografia e/o per aver visitato la mostra "Pianosa: Uomini e Luoghi in Cento Anni di Fotografie" organizzata dalla Associazione per la Difesa dell'Isola di Pianosa. Adesso queste persone potranno finalmente ammirare coi propri occhi il mare trasparente e limpido, la Villa romana di Postumo Agrippa, il porticciolo più bello del mondo, lo scenario insolito delle vecchie case con piccole torri e mura merlate. Persone che potranno, quindi, assaporare il fascino di un luogo dove solo pochi sono sbarcati se non costretti.
Un'ora e mezzo di navigazione e finalmente si arriva sulla più piatta delle isole Italiane. Lo scenario è quello di sempre, anche se è immediatamente apprezzabile che il gran movimento di uomini e mezzi di pochi giorni or sono non c'è più. Una volta scesi a terra e percorsi pochi metri lungo il pontile di attracco, veniamo bloccati da un signore in abiti "turistici" che, senza spiegare chi fosse, ci invita a consegnare un documento di riconoscimento ai due carabinieri presenti sul piazzale antistante il pontile di imbarco. Mentre i carabinieri annotavano le nostre generalità, il nostro interlocutore ci informava sulle essenziali norme di comportamento che dovevamo tenere: "è vietato pescare e fare il bagno, si può visitare solo la parte civile dell'isola, è obbligatorio indossare una maglietta qualora si acceda in alcuni locali e si deve necessariamente reimbarcare sulla stessa nave fra due ore circa". Sono informazioni a noi chiare (non sono però chiare per molti degli altri visitatori), si tratta, per come vengono riferite, di un "mistura" di norme dettate dalla presenza in Pianosa di un carcere (tutto il territorio e le strutture sono di proprietà dello stato, in concessione e in uso da parte dell'Amministrazione Penitenziaria) di una Riserva marina e di un Parco nazionale citati in ordine di istituzione.
E già, Pianosa è riserva marina già da molti anni con divieto di balneazione a esclusione dei residenti, ma forse sarebbe meglio dire riserva di bagno e pesca per amici e personalità più o meno note, locali e non. Infatti, mentre il nostro interlocutore ci informava dei nostri doveri, i marinai della Planasia si esibivano in gare di tuffi e veloci vestizioni di maschera e pinne per andare a "vedere" quei meravigliosi fondali (forse non erano stati avvisati dei divieti?). Nel frattempo era giunto sul piazzale un camion con a bordo due o tre persone, tutti senza maglietta. Forse si trattava di detenuti e certamente il loro abbigliamento era stato scelto per differenziarli dai turisti.
Le formalità "di rito" sono durate per circa quarantacinque minuti, mentre in rada, proprio davanti alla spiaggia, era ormeggiata una bella barca a vela, il cui equipaggio, con almeno un bambino nei ranghi, era intento a prendere il sole rinfrescandosi con saltuari tuffi. "Barca in regola", qualcuno ha detto, "è autorizzata, sono di Capital" (nota rivista naturalistica) che qualcuno ha ribattezzato Capita...
Ma le stranezze non sono finite, lasciato il pontile, e rimaneva poco più di un'ora alla partenza, dopo aver salutato una vecchia conoscenza pianosina, ci dirigiamo verso il porticciolo. Qui, chi vi era giunto pochi minuti prima, ci informa di una barca, un motoscafo armato di canne e varie attrezzature per la pesca, che in tutta fretta aveva lasciato il porticciolo. Ma tralasciamo questi "particolari" e godiamoci il paesaggio: il capannone (piccolo cantiere per il rimessaggio delle imbarcazioni in dotazione all'Amministrazione Penitenziaria e più anticamente stalla) è quasi interamente distrutto. Alcune case del porto non hanno più le persiane, ma in compenso qualche vetro è stato sostituito con del cartone; il palazzo forse il più bello dell'isola, recentemente restaurato (si può parlare di restauri per semplici e devastanti intonacature senza criterio?) ci dicono sia pericolante; la casa che una volta era il negozio di tabacchi, anch'essa senza persiane e con infissi a dir poco insicuri, sembra appena uscita da un bombardamento. Come in tutti i bombardamenti però, poi, c'è la ricostruzione, e infatti, di fianco alla casa, decrepita, è nato una specie di sgabuzzino, orrendo, che ostruisce le scale di accesso al porto. Forse, agli occhi di un turista tutto ciò potrà avere un certo fascino, ma non è così per noi che preferiamo volgere altrove lo sguardo per lasciare intatti almeno i ricordi.
E' difficile, se non impossibile, riconoscere gli originari particolari delle strutture, i piccoli palazzi hanno tutti subito, chi più chi meno, sostanziali modifiche. Decine di garage, magazzini, pollai o altro sono nati come funghi dopo le prime piogge di settembre, ma diversamente dai funghi qui si tratta di strutture in muratura. Tutte cresciute indiscriminatamente e a scapito di scorci architettonici molto suggestivi. Ci sentiamo avvolti da una profonda tristezza e decidiamo di incamminarci verso il cimitero, almeno le tombe non saranno cambiate.
Andando verso il cimitero....stavolta una buona nuova!, finalmente stanno pulendo le catacombe! Ci sentiamo rincuorati e con la voglia di ringraziare chi stia operando su questo monumento. Peccato però che un grosso serbatoio di carburante stazioni proprio davanti all'ingresso dell'antica sepoltura e dove è finita l'antica grata di granito che i vecchi pianosini conoscevano come presa d'aria della catacomba stessa? Ci sembra proprio che questa grata abbia lasciato il posto ad un lastrone in cemento. La speranza che quella grata non sia stata tanto antica come da sempre si narra sminuisce, ma non molto, la nostra preoccupazione. Comunque, riferiremo di questo alla Soprintendenza Vaticana (unico ente con giurisdizione per i luoghi sacri) affinché si faccia attenzione alle altre.
Proseguiamo il nostro cammino verso il cimitero fra una baracca e l'altra, praticamente ogni abitazione possiede la sua dependance. Qualcuna di queste è adibita garage, qualcuna, invece, è stata colmata di macerie, immondizie e rottami vari. Finalmente arriviamo. Il cimitero è sempre lo stesso (poco importa che, nella scritta sovrastante l'arco di ingresso, la parola Resurrezione sia stata scritta con la Z rovesciata) forse anche più pulito di altre volte, c'è l'acqua e qualche fiore sulle tombe (grazie Don Nando). Il cimitero non ha mai attirato l'attenzione di nessuno, se non fosse stato così, certamente non si avrebbe portato rispetto neanche per un luogo sacro come questo.
Mancano quindici minuti alla partenza della nave, bisogna tornare in fretta. Appena giunti al pontile d'imbarco, veniamo nuovamente radunati e contati prima di salire a bordo. Dopo la "conta" che in realtà non credo sia stata realmente effettuata (alcuni di noi sono saliti in un secondo momento e senza nessun intoppo), risaliamo sulla nave, ci rechiamo sul ponte e, di fronte al panorama, ascoltiamo i racconti degli altri viaggiatori: la villa romana non è visitabile per motivi di sicurezza (la tensostruttura non fornisce le dovute garanzie); la strada del lungo mare Agrippa è per buona parte franata, come pure l'antico muro a secco e le varie scalette di accesso alla spiaggia; il grande pino che sovrastava la spiaggia non c'è più...
La Planasia si allontana e tristemente salutiamo il porto, le vecchie case, la spiaggia, il faro, non salutiamo però quella roulotte, che da anni, provvista di acqua ed energia elettrica inquina il panorama del lungomare. Eh... Gli amici e gli amici degli amici..., che strano, fino a pochi anni fa in Pianosa, e il suo carcere non era ne super ne di massima sicurezza, era vietata qualsiasi forma di campeggio, anche quello fatto per gioco. I vari "fortini" e capanne venivano regolarmente abbattuti. C'erano delle regole da rispettare. Ancora un saluto, questa volta con un po' di invidia per quelle venti-trenta persone che, potendo o no, si bagnano in quelle acque turchesi, alla barca di "Capita", alle altre due che c'erano due settimane prima e alle tante che vi saranno. Tutte barche, ovviamente, cariche di professionisti rigorosamente in viaggio di lavoro armati di maschera e pinne e forse anche di fucili subacquei e di bombole. A noi non rimane altro che indovinare in quale ristorante si servano in tavola i pesci di Pianosa.
Quante cose non funzionano per Pianosa. Anche se non sembra, quest'isola è un parco nel quale si uniscono la storia, la natura e il destino di carcere. E' un momento difficile, con una Amministrazione Penitenziaria forse dimissionaria, con un parco che non decolla, ancora osteggiato da molti. C'è, quindi, il rischio che si venga a creare un vuoto di potere, utile a chi fa della spregiudicatezza e della mancanza di valori la sua arma migliore. Conosciamo l'impegno delle forze dell'ordine che operano sull'isola e sul mare circostante, ma vogliamo sottolineare come la sorveglianza debba essere incrementata e non aggirata da chi si arroga il potere farlo. Non è sufficiente respingere gli "attacchi" dei pescatori professionisti e degli "sportivi" più accaniti, peraltro innocui rispetto a quelli dei potentati economici e finanziari. Deve cambiare la mentalità di quelle persone che considerano Pianosa la loro privata proprietà e che eludono le leggi dello Stato. Per questo auguriamo a tutti coloro che operano nell'arcipelago di poter mantenere pulito il proprio animo così da lavorare con serenità. Solo chi tiene alta la propria testa e non deve temere il ricatto o la punizione potrà veramente operare per difendere quel patrimonio ambientale e storico che è anche dei nostri figli.