Il Tirreno, 7 marzo 1997
Il "Tirreno" nel penitenziario dove sono rinchiusi molti boss della mafia
Nell'isola dei senz'anima
Polemico il direttore del carcere
"Chiuderlo è un grave errore"
Isola di Pianosa - "Fuori barriera": casette merlate una addossata all'altra, una repubblica marinara in miniatura con il porticciolo, gente che passeggia, chi gioca a calcio, chi a tennis,: un caffè allo spaccio, chiacchiere. Flash di vita normale se non fosse per tutte quelle tute mimetiche, le armi a portata di mano, le ricetrasmittenti: "Cobra a Corvo. Passo" sempre in funzione. "Dentro barriera": il pianeta del silenzio. Irreale. Stormi di gabbiani che gridano. Si sentono solo loro. E' la galassia degli uomini senza volto, dei boss di mafia senza più identità. Vivono nel cemento. Girano a testa bassa. E' il regime del carcere duro, del 41 bis.
A Pianosa, 16 Km quadrati di isola, piatta e rocciosa, una perla di macchia mediterranea, si ragiona così: "fuori o dentro barriera". E' la "barriera", una muraglia di cemento grigio voluta dal Generale dalla Chiesa che taglia l'isola in due, a scandire i ritmi, il giorno, l'umore. Al di qua c'è il tentativo di sentirsi normali. Al di là rigore assoluto. Quando l'asta automatica si alza e si oltrepassa il portone del cancello solo i colori restano uguali. "Pianosa la chiamano l'isola del diavolo. Costa cara, tanto cara l'aria di Pianosa".
L'uomo in gessato grigio, camicia nera, cappotto con i bordi di pelliccia, guarda l'isola dove ha trascorso gli ultimi due anni e mezzo di carcere. La motovedetta militare si allontana dalla costa. Ora è libero. Ma non ha imparato ad amare quel pezzo di mondo selvaggio. Non dice il nome "sono sorvegliato speciale" né il resto che ha commesso. Ma è certamente molto grave. "Tirano tutto a lustri quando arrivate voi giornalisti. Ma andate a guardare nei frigoriferi la carne andata a male. Fermatevi a vedere come e quanto lavorano i detenuti comuni". A Pianosa, l'Alcatraz dei boss di mafia. E' tutto a settori. Il centro di gravità è la sezione Agrippa in mezzo all'isola, tra campi coltivati e oliveti, destinata agli speciali. La sorveglianza massima è lì. Poi via via a cerchi sempre più ampi si allenta. Ricomincia all'esterno, dal mare, con le motovedette.
Il regime di carcere duro a Pianosa non è stato un miraggio: sono 150 i boss della criminalità organizzata assegnati all'isola. Vivono in celle di cinque metri per cinque, massimo in tre. Le ora d'aria alle nove del mattino e alle 14 le trascorrono in un cortile di una decina di metri con i muri alti almeno quattro e le reti sopra. Non vedono che il cielo. Dentro la stanza il mobilio è murato: il letto, il tavolo, la panca tutto di un improbabile blu. Lo specchi è incastrato nel muro. Ma il bagno, turca, lavandino, acqua fredda, è ricavato in un angolo della cella. Un centinaio di agenti di polizia penitenziaria li sorvegliano. Dentro barriera ci stanno loro e i detenuti comuni, un'ottantina ospitati nella sezione Sembolello. Sono i comuni che provvedono alle necessità dell'isola: lavorano tutti, nei campi, nelle officine, nel pollaio, nelle stalle (mucche e cavalli), allevano api, fanno il miele e il pane. Sono pagati, fino a un milione al mese. "Giungono a Pianosa solo facendo domanda. I requisiti sono precisi: devono avere una pena definitiva, un curriculum carcerario ottimo, devono essere di forte e robusta costituzione. A Pianosa vengono a scontare solo gli ultimi cinque anni di pena".
A dirigere il supercarcere è un Direttore giovane: Pierpaolo D'Andria, 37 anni, pugliese d'origine, a Pianosa da sei: "Da quando cioè quella notte di luglio del 1992 atterrarono nel campetto sette elicotteri Chinook a doppia elica portando i primi detenuti speciali". Se l'è vissuto tutto il calvario del 41 bis e ora assisterà alla sua fine. Il 31 ottobre prossimo Pianosa e Asinara scompariranno dalla geografia penitenziaria. I boss torneranno nel continente. " E' un errore enorme chiudere Pianosa - continua D'Andria - almeno uno dovrebbe rimanere in funzione come deterrente". La forza del supercarcere sta in alcuni, pochi, meccanismi psicologici.
Ride il direttore alle accuse di maltrattamenti ai detenuti sottoposti al regime speciale.. Non si preoccupa delle insinuazioni riguardo le privazioni di cure mediche. E' tutto falso, ribatte. Il sorriso sul viso aperto invece quando gli si chiedono i motivi delle ultime polemiche, dei recenti attacchi al sistema. "Non ne faccio mistero - risponde - Ci vedo una strategia di delegittimazione del 41 bis". Meccanismi psicologici, si diceva. A raccontarli efficacemente sono due medici dell'isola che da anni sono a contatto con superboss e "pezzi da novanta". I nomi dei professionisti non saranno fatti per ragioni di tutela. Si tratta però di un uomo e una donna. "La cosa che rende furiosi gli uomini d'onore è la completa esclusione dalla vita sociale. Non hanno modo di comunicare con l'esterno. Né di avere rapporti "di buon vicinato" con alcuno". Questa è la forza del 41 bis di Pianosa: nasce dall'isola, distante, faticosa da raggiungere per tutti anche per i parenti dei detenuti e gli avvocati. Dall'organizzazione interna: gli agenti cambiano ogni quindici giorni, i medici turnano ogni dieci. Un esempio: la dottoressa che svolge attività sull'isola ogni volta che un boss del calibro di Nitto Santapaola marca visita la prima domanda è: "lei come si chiama"? "E si vede - racconta - che si irrigidisce, che soffre di questa totale assenza di identità". Santapaola, Michele Greco "il papa", Bernardo Brusca, Pippo Calò, Matteo Boe, Piddu Madonia, Vernengo, sono uomini qualunque. A Pianosa sono solo detenuti.
Cristina Orsini