Corriere della Sera 29 aprile 2001
Pianosa, giardino dell'Eden
LIVORNO - Pianosa, "l'isola del Diavolo", si trasforma in un piccolo paradiso terrestre. Dimentica il suo passato da Alcatraz del Tirreno, e dopo aver chiuso il carcere di massima sicurezza e le celle di punizione, apre all'agricoltura biologica: viti, olivi, piante medicinali, frutta mediterranea, senza neppure un grammo di pesticidi, garantita e controllata. Ci sarà anche un po' di pastorizia: pecore e capre e probabilmente anche un caseificio per formaggi doc. Il miracolo avverrà tra breve.
Nel nome della natura, ma soprattutto di Dio, perché protagonisti sono i monaci benedettini della "Fraternità di Gesù" che già gestiscono due cooperative di prodotti biologici a Lanuvio, nella zona dei Castelli Romani. Un progetto, già approvato da Regione Toscana e Ente Parco e sponsorizzato da Unesco e Wwf, prevede di trasformare la piccola isola (10 chilometri quadrati a 12 miglia dall'Elba) in un laboratorio di agricoltura biologica. In una prima fase arriveranno sull'isola una ventina di monaci, un'avanguardia per creare la vera e propria comunità. La parola d'ordine? Ora et labora naturalmente, ma dietro al motto si nascondono un bel po' di conoscenze scientifiche e di tecniche all'avanguardia per far diventare fertile una terra che ha conosciuto solo sudore e sangue.
"Pianosa sarà simile alla cooperativa di Lanuvio - spiegano i monaci - dove non si fa solo agricoltura, ma sono nate cooperative di falegnameria, tessitura e iconografia. Produciamo verdura e frutta ma anche marmellate, succhi di frutta tisane. Tutto rigorosamente biologico e venduto con il nostro marchio di garanzia". A Lanuvio non ci sono solo frati, ma famiglie. Gente che ha deciso di scegliere una vita diversa e che vive in cooperativa. Accadrà a Pianosa? I monaci non lo escludono. Certo, l'ex isola del diavolo, è completamente diversa dai Castelli Romani.
La terra deve essere arata, bonificata, salvata da secoli di abbandono. E anche la sistemazione per i primi coraggiosi monaci non sarà facile. L'acqua potabile scarseggia, il caldo in estate può essere insopportabile e l'inverno tempeste di fulmini si abbattono sullo "scoglio". Ne sanno qualcosa i capi mafia che qui furono incarcerati e qui iniziarono a pentirsi. Eppure, prima di diventare del Diavolo, Pianosa ha già assaporato il sapore dell'Eden, o meglio ha tentato di imitarlo.
Chiamata dai Romani "Planasia", ovvero isola piatta, uniforme, che esce dal mare come uno zoccolo di tufo, l'isola ospitò Marco Giulio Agrippa Postumo, nipote di Cesare Ottaviano Augusto. Passano millenni e secoli e Pianosa continua ad essere in bilico tra bene (diventare un paradiso turistico o agricolo) e male (essere l'inferno di detenuti e di altri sfortunati). Così dopo il desiderio mai realizzato di Napoleone che voleva colonizzare l'isola, arriva, agli inizi dell'Ottocento il carcere. Ci resterà fino al 1996, data di nascita del Parco nazionale dell'arcipelago.
Due anni dopo il carcere chiude per sempre e nel 1999 iniziano le prime visite turistiche e numero chiuso. Inferno finito? Sì, ma ci sarà da lavorare molto. Anche gli alloggi dovranno essere ristrutturati. Le celle sono inabitabile. Accettabili invece le case del vecchio borgo, davanti al porticciolo. Ma i monaci credono ai miracoli e non hanno dubbi: "State tranquilli la parola "Diavolo" sparirà per sempre dal nome di quest'isola".
Marco Gasperetti