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VIAGGIO NELL'EX COLONIA PENALE

Il giornale 21 settembre 2004

VIAGGIO NELL'EX COLONIA PENALE Pianosa, nell'isola col sole a scacchi i veri prigionieri sono carcerieri

La cittadella fantasma, al largo dell'Elba, è popolata solo da un pugno di guardie Era il penitenziari o dove venivano reclusi i boss della mafia. Poi il 30 giugno 1998 è stato chiuso Deserte le due caserme dei carabinieri l'ultima costruita quando i detenuti erano andati via Terra di sprechi: per pattugliare la costa è stato acquistato un motoscafo usato per 67 mila euro Tutte le mattine di buon'ora fa il giro della "sua" isola. Esce dalla casa in cui è nato, la casa che fu affittata a suo padre, l'ufficiale postale che era stato comandato a Pianosa, attraversa vicoli deserti e contempla gli scheletri di una cittadella fantasma. Che somiglia al set abbandonato di un film. Un film che racconta storie d'altri tempi.

Quando Pianosa aveva due alberghi, il "Trento" e il "Trieste". Che si facevano una concorrenza spietata. Tutti e due affacciati sul molo, tutti e due con il biliardo, la sala ricreazione, e una cucina cui era difficile resistere. Quando Pianosa aveva, record italiano, la mungitrice automatica, ma anche una porcilaia modello e un pollaio grande come cinque campi di calcio. E la chiesa e la scuola. E due negozi d'alimentari con tutti i prodotti dell'orto e della stalla che venivano dal lavoro dei detenuti. "Quando - si arrende all'amarezza, il comandante Giuseppe Mazzei Braschi - Pianosa era viva. C'erano i panni stesi alle finestre e si sentiva il vociare dei ragazzi per strada".

Anche quell'altra Pianosa, l'isola-carcere (la "colonia penale agricola della Pianosa" venne istituita nel 1858 dall'ultimo granduca Leopoldo II d'Austria) divenuta poi supercarcere, l'isola dei mafiosi e dei brigatisti non esiste più. Gli otto detenuti oggi residenti sono in trasferta dal penitenziario di Porto Azzurro e scontano qui la loro pena, svolgendo con versatilità e rigore le mansioni di cuoco, camerieri e manutentori. Senza palla al piede, ma con le t-shirts e i grembiuli che porta l'autoironico slogan "cucina galeotta", coniata dalla loro squadra di lavoro, la cooperativa San Giacomo.

La partenza dell'ultimo mafioso, nel luglio 1997, ha suggellato la dismissione del carcere e il ministero della Giustizia ha lasciato sull'isola solo un servizio di guardianìa affidato a tre uomini della polizia penitenziaria. Il capitano di vascello Mazzei, 42 anni al servizio della nostra Marina, è la memoria storica dell'isola. Un eremita del mare che è sempre rimasto pianosino e che oggi, sfrattato e bistrattato dallo Stato, è ancora qui, avvinghiato all'isola dove è nato e cresciuto. Per difenderla, assieme ad un manipolo di altri irriducibili, dalla rovina, dal degrado, dall'oblio. Anche se può starci solo d'estate, anche se per farlo deve pagare al Comune di Campo nell'Elba, per la sua associazione di crociati un affitto di 500 e passa euro.

Mostre fotografiche e di reperti pianosini, pubblicazioni e petizioni, il comandante, costi quel che costi, non molla anche se sa che per un bel po' di tempo ancora, forse per sempre, non potrà tornare in pianta stabile sull'isola dove è nato. Perché Pianosa, 10,3 chilometri quadrati di superficie, 18 chilometri di perimetro costiero, valorizzata dai romani, distrutta dai turchi, è oggi l'isola dai troppi padroni: i ministeri della Giustizia, del Tesoro, dell'Ambiente, il Vaticano, la Regione Toscana, la provincia di Livorno, il Comune di Campo nell'Elba. Gli ultimi tre, e il comune di Campo nell'Elba in partic6lare, cui Pianosa appartiene, in base al regio decreto firmato il 19Luglio del 1894 da Umberto I, mostrano un'evidente irritazione nei confronti dell'isola e dei suoi problemi. Preferisce, ad esempio, il sindaco di Campo tappezzare Pianosa con una ordinanza in cui vieta di bere l'acqua perché non è più potabile, invece di riassestare le falde e rimettere in funzione una rete che era stata costruita con intelligenza per servire tutta l'isola. Preferisce spendere, con il pretesto di pattugliare e sorvegliare Pianosa, la ragguardevole cifra di 67 mila euro per acquistare una motobarca da una società che l'aveva pagata usata5.l64euro.E che fine ha fatto la motobarca d'oro? E' rigorosamente ferma, ormeggiata nel porto di Marina di Campo, in attesa di un equipaggio (dovrebbe essere un equipaggio di vigili urbani, peccato che nessuno dei diretti interessati ne sappia nulla, né tanto meno sembri smaniare dalla voglia di salirci a bordo), di un comandante, e magari anche di un addetto alla manutenzione. Intendiamoci anche il ministero della Giustizia ha la sua parte di colpe nell'abbandono in cui versa Pianosa. Ci sono due caserme, una dei carabinieri e l'altra della polizia, costruite per ospitare gli uomini che avrebbero dovuto tenera a bada brigatisti e mafiosi, ma che non sono mai state utilizzate. Il collaudo di una delle due caserme è stato addirittura effettuato quando il carcere era già stato chiuso. In buona sostanza due costruzioni che potrebbero benissimo venir riconvertite in qualcosa di più utile e dignitoso ma che per ora sono soltanto e vergognosamente una montagna di miliardi che sta andando in rovina. Come uno scempio a cielo aperto è il muro di circa due chilometri che il generale Dalla Chiesa fece costruire, facendo trasportare tonnellate di cemento dalla terraferma per separare simbolicamente l'isola-carcere dall'isola civile sulla quale abitavano e convivevano coni detenuti tutti quelli che per dovere o per libera scelta avevano scelto di abitare sull'isola. Tornando alle strane scelte del Comune di Campo nell'Elba probabilmente con 67 mila euro il sindaco avrebbe potuto cominciare ad occuparsi un po' più seriamente di Pianosa avviando quelle opere di urbanizzazione primaria e secondaria che davvero segnerebbero il risveglio e la rinascita dell'isola dimenticata. Oppure, perché no? Tagliare le erbacce che coprono le croci senza nome dello struggente cimitero dei "cronici", gli ergastolani morti sull'isola. Un'isola dimenticata, intendiamoci, solo dai politici, che sono evidentemente una sorta di fauna a parte nel genere umano. Visto che gli umani veri, gli uomini e le donne e i bambini si mettono pazientemente in coda a Portoferrajo e a Marciana Marina per salire sulle uniche due imbarcazioni che hanno ottenuto la concessione per portare i turisti a Pianosa. Partenza alle 9, ritorno nel tardo pomeriggio. Sull'isola i turisti vengono accompagnati, anzi letteralmente scortati, dalle guide e, sempre e solo rigorosamente in gruppo, possono avventurarsi in carrozza, con un piccolo pulmino o a cavallo delle mountain bike, per esplorare un patrimonio naturale straordinario, in cui regnano pernici rosse e falchi. "E un compito difficile il nostro - ammette Walter Mazzei, in servizio permanente sull'isola come responsabile della sicurezza per conto del Parco dell'Arcipelago Toscano - non possiamo permettere che qualcuno giri per conto proprio sull'isola o che attracchi. Potrebbe infrangere anche inconsapevolmente quelle regole d'equilibrio che sono alla base della sopravvivenza stessa dell'isola. Tutto ciò comporta un pattugliamento costante e una flessibilità d'intervento che nel caso di inquinamento del tratto di mare vicino all'isola ci consente d'intervenire nel giro di pochissimi minuti".

La gente capisce e aspetta ai moli. Tutti sanno che le presenze a Pianosa sono contingentate. Tocca a Giovanni, il titolare - Comandante dell'Acquavision, la società che traghetta quotidianamente i turisti dall'Elba, contarli e lasciare a terra chi si è prenotato per ultimo. Per il governo del Parco dell'Arcipelago toscano andrebbero bene anche 400-450 persone al giorno, ma il comune di Campo nell'Elba ha puntualmente messo i bastoni tra le ruote di un ingranaggio ben oliato e ha imposto un drastico dimezza-mento. Dimezzamento che fa rima con aumento perché, mentre il Parco dell'Arcipelago Toscano chiede ai visitatori un contributo di tre euro su un biglietto di diciannove pagato ai traghettatori, il Comune elbano pretende un pedaggio di cinque euro con la scusa che deve far fronte alla manutenzione dell'isola (o al pagamento della motobarca d'oro?). Nella tormentata storia recente di Pianosa uno che ha imparato a muoversi con determinazione è Angelo Banfi, coordinatore tecnico e amministrativo del Parco dell'Arcipelago Toscano. Assediato dai fax e dalle telefonate, nel quartier generale di Portoferraio, Banfi è un altro costretto a starsene in trincea, che ha imparato ad agire con rapidità e scioltezza per il bene di Pianosa e di tutte le altre isole che sono sotto il suo "governo". Avrebbe in mente di sistemare, per la verità le ha già acquistate, dieci boe per organizzare immersioni naturalistiche, rigorosamente controllate, nei fondali dell'isola. Fondali dove tra le praterie di Posidonia oceanica si radunano granseole, ricciole grosse come cernie, aragoste mentre è tutt'altro che raro imbattersi in famiglie di delfini. "Sarebbe un'altra iniziativa che porterebbe linfa alla sopravvivenza di Pianosa - sottolinea Banfì -noi, sempre tenendo in primo luogo conto degli equilibri dell'isola, ci stiamo facendo venire delle idee per uscire dall'impasse. Ma altri nostri interlocutori o non vedono o fanno finta di non vedere ciò che facciamo. E quando lo vedono non si può proprio dire che ci diano una mano". Si avvicina il tramonto. Le barche dei turisti devono lasciare Pianosa. Sul molo resteranno solo una ventina di persone. Precari abitanti dell'isola dimenticata cui per dovere è stato concesso il diritto di continuare ad abitarci almeno fino alla fine dell'estate. I volontari della Croce Rossa, un paio di uomini della Forestale e gli altri di cui abbiamo già scritto. Resistono in attesa di saperne di più, in attesa che Pianosa, come spera l'assistente capo Sandro Cortis della polizia penitenziaria che dalla Sardegna si è fatto distaccare qui, possa risorgere con l'arrivo di altri detenuti, una ventina forse entro l'anno. Come se la sorte e la fortuna di Pianosa fossero e dovessero rimanere per forza legate ad una catena anche soltanto simbolica. Cose da pièce teatrale. Sorride il comandante Giuseppe Mazzei Braschi e riapre l'album delle fotografie di quando Pianosa era Pianosa. "Guardi, qui nel 1920 c'era anche la compagnia filodrammatica: loro si erano bravi a recitare...". I PRIMI SARANNO 10 Dopo sei anni riecco i prigionieri Dopo anni di isolamento, protetto anche dall'aggressione dei turisti in visita all'Arcipelago Toscano, opportunamente contingentati, l'isola di Pianosa torna ad animarsi grazie ad un piccolo manipolo di detenuti, una decina in tutto, che nelle prossime settimane verranno trasferiti con il compito di prendersi cura di questa grande piattaforma in tufo di dieci chilometri quadrati, adagiata a 14 chilometri dall'Elba. Sono detenuti in regime di articolo 21 del regolamento carcerario, cioè ammessi a svolgere lavoro esterno. Si occuperanno della manutenzione ordinaria dei fabbricati riattiveranno e faranno una mappa dei sentieri, lavoreranno alla manutenzione ed al ripristino delle strade. Il trasferimento rientra nel protocollo d'intesa tra i ministeri dell'Ambiente e della Giustizia. "I detenuti che saranno trasferiti - spiega RosarioTortorella, direttore della casa ti reclusione di Porto Azzurro, competente anche per Pianosa -risponderanno a requisiti di affidabilità". Gli ultimi 11 detenuti residenti nel carcere dì Pianosa lasciarono l'isola alle l4:30 del 30 giugno 1998.

Quel giorno la caso circondariale chiuse definitivamente i battenti dopo 140 annidi di attività, in attuazione ad una legge dei 23 dicembre1996. In passato aveva accolto fino a 900 detenuti e 400 agenti di custodia con relative famiglie. Dal 1992 al 1997. aveva ospitato una sezione di massima sicurezza e vi avevano abitato criminali di mafia come Pippo Calò, Michele Greco. Nitto Santapaola, Pippo Madonia, Giovanni Brusca, Pietro Vermengo i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Nino Mangano.

Gabriele Villa

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