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I CASI DI CAPRAIA E PIANOSA

Il Resto del Carlino, 11 settembre 2007

Piccole isole, era meglio con il carcere.
Gli enti litigano sui progetti per gli ex penitenziari: un tesoro edilizio in malora.
di ANTONIO FULVI

Si fa presto a dire che sono paradisi ritrovati. E invece sono ancora in gabbia dopo anni, o decenni, che lo Stato si é tirato indietro. Provatelo a chiedere a don Pasquale Nacchia, l'ultimo agente di polizia penitenziaria che prima d'essere messo in pensione ha vigilato come poteva, praticamente da solo, sull'immenso patrimonio di una colonia agricola all'aperto che occupava e ancora occupa, sebbene abbandonata, più di un terzo dell'isola di Capraia, Prata. Don Pasquale, come lo chiamano gli isolani, continua a girare con la divisa verde, sfoga la sua passione di ex addetto all'agricoltura sul suo e su qualche altro orticello, ma proprio il disastro dei tanti beni abbandonati non riesce a digerirlo.

«Alla fine dei conti mi hanno dato due stanzette fatiscenti al Sant'Antonio, l'ex diramazione del paese, per viverci con mia moglie e devo anche pagare l'affitto. Ma ci sono migliaia di metri cubi di costruzioni bellissime - ricorda con un nodo alla gola - dalla la periferia del paese alle diramazioni su in collina, che sono state mandate in malora od occupate I più o meno abusivamente». Ma i grandi assenti in quanto a iniziative sono lo Stato e giù a cascata le istituzioni: dalla Regione che boccia da anni ogni progetto di recupero presentato dal piccolo comune, alla Provincia il cui presidente non ha mai messo piede sull'isola. In compenso arrivano le richieste del Consorzio di bonifica, i cento piccoli balzelli che hanno fatto la fortuna, anche qui sull'isola, al Vaffa-Day di Grillo. Capraia è un caso emblematico degli sprechi perpetrati da uno Stato disattento e da una Regione che si è fatta un punto di impegno nel dire no al microscopico Comune.

Ma si potrebbe dire lo stesso dell'altra isola-carcere, Pianosa, dove si sta ripetendo lo stesso esempio: strutture seminuove abbandonate di colpo, investimenti ciclopici dei tempi in cui fu carcere per mafiosi e camorristi e adesso tutto in malora, con ciclici progetti, che regolarmente falliscono, di fantasiosi utilizzi pubblici. Si salva, per ora, la colonia penale di Gorgona, che occupa l'intera isola e rimane abbarbicata alle sue celle e ai suoi detenuti-agricoltori, malgrado ciclicamente si parli di chiusura.

Eppure sarebbero paradisi utilizzabili con enormi ricadute economiche sui residenti, a Capraia resistono circa trecento persone, la metà dei tempi della colonia, o su nuovi immigrati, come a Pianosa. Il problema è che da una parte un malinteso timore di cementificazioni blocca dall'alto ogni iniziativa, compresi i progetti di semplice recupero delle costruzioni esistenti e dall'altro è tutto un tirarsi per la giacchetta tra istituzioni che non potendo fare quello che vogliono bloccano a cascata le idee delle altre.

Ancora il caso di Capraia: il piano di fabbricazione è fermo da 10 anni in Regione, senza che l'ente si preoccupi di suggerire, prospettare o al limite imporre alternative. Va bene, alla peggio, che tutto vada in malora. Quindi niente villaggio turistico, ma nemmeno niente monastero che avrebbe sviluppato, come proposto anche dalla diocesi, un turismo religioso di alta qualità. Niente di niente: idem per Pianosa, dove i camaldolesi avevano addirittura suggerito di trasformare l'isola in una grande fattoria di prodotti ecologici. C'è un'eccezione: il cinquecentesco castel San Giorgio a Capraia. E'privato e dopo tanto tergiversare, l'ha comprato un imprenditore che con la benedizione del Comune ha avviato il recupero. Ci farà dieci lussuosi appartamenti, più una grande sala museo aperta a tutti.

A Capraia plaudono con un'amara constatazione: il privato batte ancora una volta il pubblico.

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