Tirreno Elba News, 1 giugno 2008
Protestano anche i detenuti della San Giacomo.
Lo sfogo: "Si è tenuto conto di tutto ma non del fattore umano".
"Ma all'Isola d'Elba le zecche non ci sono?". Nel giorno dell'invasione delle zecche nella zona dell'ospedale suona quasi profetica questa domanda contenuta nella lettera dei detenuti della cooperativa San Giacomo di Porto Azzurro, che si rammaricano per la chiusura dell'isola, infestata dai parassiti: "La decisione di chiudere (sembrerebbe a tempo indeterminato) – ci scrivono - ci toglie ogni certezza e soprattutto ci riporta nell'inferno del carcere chiuso, senza preavviso e questa volta, certo per colpe non nostre. Questo sfogo deriva dalla nostra impotenza e dall'impotenza di chi ha avuto fiducia in noi e dalla convinzione che in tutta la pur delicata vicenda della fruibilità dell'Isola di Pianosa".
La loro impressione è che "si sia tenuto conto di tutti i fattori ma che forse non sia stato tenuto in debita considerazione il fattore umano che ferisce non solo i detenuti ma anche gli operatori che hanno corso il rischio di scegliere Pianosa. Se cosi fosse gli sconfitti non saremmo solo noi ma tutti gli enti a cui è deputata la gestione di quel patrimonio naturalistico. archeologico, storico e sociale che risponde al nome di Pianosa".
"Scriviamo questa nostra lettera – dicono - affinché lo Stato, e gli organi di competenza, si rendano conto di quanto la chiusura dell'Isola di Pianosa possa significare per noi detenuti ammessi al lavoro esterno, in quanto soggetti ai benefici previsti solo in ragione del mantenimento del lavoro presso quella importante struttura, che quindi incide pesantemente sul nostro futuro personale e indirettamente anche sul benessere delle nostre famiglie. Si parla tanto dell'importanza di una pena rieducativa, volta a reinserire il recluso, ma nella concretezza delle situazioni vengono spesso compiuti atti che valutano tutte le situazioni ad esclusione dei processi di reintegrazione sociale e dei risvolti umani delle persone. Noi non vogliamo giustificare i reati commessi dai noi detenuti, ma riteniamo che la chiusura dell'isola di Pianosa penalizzi proprio quelle persone che hanno saputo assumere atteggiamenti critici per le scelte pregresse e che sono determinate ad essere utili a se stessi, alle loro famiglie ed alla società che hanno danneggiato, e a farlo non attraverso mere enunciazioni di principio ma attraverso il lavoro quotidiano".
"In tutta sincerità – scrivono ancora - pensiamo che qualunque lavoro se svolto bene e onestamente sia meritevole di continuare ad essere portato avanti da chi finora l'ha fatto con diligenza e impegno, e che quindi sia giusto continuare a lasciarlo nelle mani di coloro che l'hanno svolto fino a questo momento in maniera cosi egregia. Per noi l'impegno continuo nel mandare avanti l'isola di Pianosa, con la ristorazione, la manutenzione e le altre attività affidateci, rappresenta un momento di crescita e di riabilitazione che ci aiuta a riacquistare il rispetto di noi stessi attraverso la corretta esecuzione di servizi nei confronti della natura e delle cose e soprattutto delle altre- persone, turisti o operatori".