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PIANOSA, ISOLA AFFASCINANTE MA PIENA DI CONTRADDIZIONI

Rivista "50&Più", luglio 2008

Fino al 1997 è stata carcere di massima sicurezza. Oggi è quasi in abbandono, ma fioriscono le iniziative di rilancio. Qui i fondali sono ancora intatti e il mare è di una bellezza straordinaria.

Parte del muro “Dalla Chiesa” che su Pianosa divide l'area detentiva da quella abitativa. L'isola appare solo quando si è a poche miglia dalla costa. È piatta, anzi piattissima, non per niente i Romani la chiamarono Planasia, da cui Pianosa. A mano a mano che ci si avvicina, si profilano gli edifici più belli e antichi: il Forte Teglia di età napoleonica, le mura merlate intorno al vecchio porto, cupole, archi, bifore e intorno un mare stupendo. Sembra un'isola caraibica, invece siamo nell'Arcipelago Toscano.

Salta agli occhi il lungo muro in cemento armato: ricorda che questa isola è stata un carcere di massima sicurezza ed è diventata celebre per aver ospitato brigatisti e mafiosi. Il muro, voluto dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, taglia l'isola in due: la zona del centro abitato e l'area penitenziaria. È un'isola semplicemente affascinante al primo impatto. Ma poi ecco emergere tutte le sue contraddizioni: accanto alle azioni di conservazione della natura e delle testimonianze archeologiche, alle ricerche scientifiche, c'è un patrimonio edilizio completamente in decadenza,tranne rari casi di recupero.

Pianosa è stata colonia penale agricola per 150 anni fino alla chiusura nel 1997. Qui hanno vissuto fino a duemila persone tra reclusi, agenti di custodia,personale amministrativo, famiglie collegate alle attività del carcere. All'epoca funzionavano due alberghi, il negozio di alimentari, la macelleria,la farmacia. I detenuti si occupavano di allevamento, di agricoltura, si coltivava la vite e si produceva uno spumante con tanto di etichetta del carcere.

Presso la stalla ancora in funzione sono impegnati, nella cura dei cavalli, alcuni detenuti della cooperativa San Giacomo. Chiuso il penitenziario sono sparite anche le attività ad esso connesse, chi viveva qui ha dovuto andarsene, l'ultima famiglia ha resistito fino al 2001. Poi l'isola è rimasta quasi deserta. Ci sono, però, ancora una decina di detenuti e a presidio alcuni agenti di custodia, il Corpo Forestale dello Stato, la Guardia di Finanza. I detenuti provengono dal carcere di Porto Azzurro che sull'isola ha mantenuto un presidio. Hanno scontato gran parte della loro pena e grazie alla buona condotta possono finire qui gli ultimi anni di reclusione. Si occupano di lavori di manutenzione e della ristorazione nell'unico bar-ristorante, gestito dalla cooperativa sociale San Giacomo.

Nick è uno di loro, a lui è stata affidata la cura di due cavalli ai quali è molto affezionato. È originario della Macedonia. Forse sarà proprio lui uno dei cocchieri che accompagnerà i turisti nel giro in carrozza per Pianosa. Ma certo deve imparare, ammette. E sì, perché dal 1999, a seguito della chiusura del carcere, l'isola è stata aperta al turismo. È il Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, sul cui perimetro ricade l'isola, che regola l'affluenza turistica con visite guidate.

Pianosa è completamente demaniale ed è in concessione al ministero di Grazia e Giustizia. Ma lo Stato si è dimenticato di questo fazzoletto di terra. Dopo la chiusura del penitenziario, nonostante svariati protocolli di intesa tra i ministeri e gli enti locali competenti, è stato fatto davvero poco e il patrimonio edilizio sta andando in malora. Uno degli edifici ancora in buone condizioni è la caserma dei Carabinieri. È stata inaugurata quando non serviva più, un anno dopo la chiusura del carcere. Una cattedrale nel deserto e soldi pubblici buttati al vento.

l'antica porta di ingresso alla zona carceraria. Oggi è transennata perché pericolante, come altri edifici isolani. «Ci aspettavamo che le istituzioni facessero un progetto per il recupero e la valorizzazione di Pianosa non è stato fatto», dichiara Giuseppe Mazzei Braschi, presidente dell'Associazione per la difesa dell'isola di Pianosa. «Noi lo abbiamo fatto, ma non è stato preso in considerazione da nessuno. Prevedeva che le attività svolte dai detenuti passassero a tre cooperative che allo Stato avrebbero pagato l'affitto. Una cooperativa si sarebbe dedicata all'agricoltura e all'allevamento. Una seconda avrebbe pensato alla fruizione turistica (massimo 200 persone al giorno). L'isola è fragile e non ne può sopportare di più. Con il restauro e la messa in funzione degli alloggi da parte di una terza cooperativa si sarebbero creati posti letto, ma con un limite di giorni di permanenza. Queste tre cooperative avrebbero permesso a Pianosa di non morire».
Per mantenere l'attenzione sullo stato in cui versa l'isola, ogni anno l'associazione allestisce, nei locali della ex direzione carceraria, la mostra fotografica Pianosa com'era. Un viaggio nella memoria per scoprire la storia, le bellezze ambientali, la vita nell'ex isola-carcere.

Il Porticciolo antico con il palazzo Specola ora in ristrutturazione. Dal palazzo della Foresteria si sentono le voci divertite di alcuni ragazzi: «Mamma, tutto bene, siamo arrivati da poco e stiamo sistemando le nostre cose»; «Bella quest'isola!». Sono studenti delle scuole medie, rimarranno sull'isola per un paio di giorni. Partecipano al progetto di educazione ambientale Riportiamo la scuola a Pianosa, ideato e gestito da un gruppo di guide ambientali della cooperativa Pelagos. Un paio di detenuti passano in bicicletta, si dirigono verso il Palazzo Specola, uno degli edifici più belli dell'isola.
A loro è affidato il restauro esterno. Una goccia nel mare, ma è pur sempre qualcosa. L'entrata alla zona penitenziaria, invece, è pericolante e le diramazioni penitenziarie sono in completo abbandono. Solo quella del Sembolello, dove nel 1932 fu rinchiuso per motivi politici Sandro Pertini, è stata rimessa a posto. Per il resto le facciate si stanno sgretolando, le finestre con le sbarre sono arrugginite, girando occorre fare attenzione alle zecche e all'erba alta. Troppi gli edifici pericolanti nel centro abitato. La porta socchiusa di una casa invita a entrare. C'è un caminetto, un materasso e un lavandino buttati a terra. Un calendario fermo al maggio del 1998. Il tempo su quest'isola si è fermato ma niente è rimasto com'era.

Basta allontanarsi dalle vie principali e ci si trova di fronte all'esempio peggiore del degrado: sull'erba bidoni, bombole e ruote arrugginiti. Un cumulo di fili elettrici, un paio di sacchi neri d'immondizia. A Pianosa non si riesce nemmeno a rimuovere questi rifiuti. Troppi i ministeri e gli enti che hanno voce in capitolo sull'isola: il ministero dell'Economia e delle Finanze, dell'Ambiente, di Grazia e Giustizia, il Parco dell'Arcipelago Toscano, la Regione Toscana e la Provincia di Livorno, il Comune di Campo nell'Elba su cui ricade l'isola. E non finisce qui.
Pianosa è tutelata dalla soprintendenza Archeologica della Toscana. L'isola conserva testimonianze risalenti al Paleolitico, per non parlare dei resti della villa e delle terme di Marco Giulio Postumo Agrippa. Sempre del periodo romano sono le catacombe che si estendono sotto gran parte dell'abitato e fanno capo alla giurisdizione vaticana.

Fili elettrici, ferri arrugginiti ammassati in una delle officine dismesse, bidoni, bombole del gas, plastica, ruote accatastate sull'erba. A Pianosa lo stato di abbandono è evidente. «Il nodo del problema è l'attuale incapacità di far convergere soluzioni positive in una visione strategica comune e integrata tra i vari Enti competenti - dichiara Franca Zanichelli, direttore del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano - il Parco non si sottrae a dare indirizzi sulla gestione e conservazione dell'Isola, ma c'è bisogno di un disegno comune, questa è una sfida di tipo culturale e dobbiamo lavorarci molto». Quali gli indirizzi del Parco rispetto al turismo? «L'isola è un laboratorio naturale a cielo aperto. Per cui la necessità della conservazione del patrimonio ambientale (unito alla mancanza di strutture e servizi di supporto, bagni, rete fognaria inadeguata, mancanza di acqua potabile, gestione dei rifiuti), consente un'affluenza leggera che abbiamo individuato in 250 persone al giorno. Stiamo puntando su un turismo di qualità che comprenda progetti educativi e non su un turismo mordi e fuggi». Tra le criticità presenti sull'isola c'è anche quella delle zecche. «Una presenza ammissibile al tempo in cui nell'isola si praticava l'allevamento, visto che questa attività è scomparsa il problema va indagato e in questo senso anche la Asl deve dire la sua», chiarisce Franca Zanichelli.

Fili elettrici, ferri arrugginiti ammassati in una delle officine dismesse, bidoni, bombole del gas, plastica, ruote accatastate sull'erba. A Pianosa lo stato di abbandono è evidente.

Quale faccia avrà Pianosa? Il progetto speciale per il recupero dell'Isola della provincia di Livorno prevede la valorizzazione delle peculiarità ambientali, il rilancio in chiave scientifica e turistica, recupero delle infrastrutture, vigneti sperimentali per la produzione di vini passiti secondo metodi biologici. Per quest'ultimo progetto a dicembre 2007 sono stati stanziati 50mila euro da erogare al comune di Campo nell'Elba con la sottoscrizione di un protocollo d'intesa. Ma è tutto fermo. Dalla Provincia spiegano che l'ostacolo è dovuto al contenzioso fra il Comune e il ministero dell'Economia e delle Finanze sugli usi civici dei terreni. Si tratta di terreni che l'Ente vorrebbe utilizzare, ma il ministero si è opposto. E la diatriba va avanti.

«Il Parco sta facilitando in ogni modo la sperimentazione della coltura della vite. Nel piano del Parco abbiamo individuato le aree interessate», dichiara Mario Tozzi, presidente del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano. E aggiunge: «Per quanto riguarda il progetto speciale della Provincia di Livorno sul recupero di Pianosa, va completamente rivisto in quanto è stato elaborato senza il nostro intervento. È un progetto che porta la data del 2006, all'epoca il Parco aveva una gestione commissariale e i rapporti non erano buoni. Oggi siamo pronti a rivederlo insieme».

Tozzi giudica positivamente un ritorno dei residenti sull'isola. «È una possibilità che mi trova d'accordo. Certo è che sull'isola non esistono attività produttive propriamente dette e difficilmente potranno esserci. Quello che sarà possibile fare è un produzione vinicola di nicchia. Si possono recuperare le 1.500 piante di ulivo per produrre olio di qualità. Piccole attività di artigianato e turistiche». Rimane il nodo scottante del recupero del patrimonio abitativo.

A Pianosa, dove nidificano il gabbiano corso e la berta maggiore, dove i fondali marini sono ancora intatti e il mare è di una bellezza straordinaria, la speranza è che i ministeri e gli enti locali competenti inizino a lavorare insieme per tutelare l'isola e salvarla da un degrado insopportabile.

Visitare Pianosa

A Pianosa sono possibili solo visite giornaliere e guidate.
Non è ammessa la visita libera.
Nei mesi di luglio e agosto la domanda turistica è molto alta ed è bene prenotare.
Ecco alcuni riferimenti utili.

Per altre informazioni rivolgersi all'Agenzia per il Turismo dell'Arcipelago Toscano Calata Italia, 26 - Portoferraio
Tel. 0565 914671
www.arcipelago.turismo.toscana.it

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