Ma te la ricordi quella libecciata ? Ognuno ha il suo vento preferito; o meglio, vive lungo una costa esposta ad un determinato vento e, in qualche modo, vi si affeziona, lo aspetta. Ogni volta che si realizza una giornata burrascosa, gli abitanti della costa snocciolano la saga dei ricordi. I più anziani scendono nel passato più remoto, dando una tale enfasi all'accaduto da farlo diventare leggendario.
In questi casi il tempo trascorso esalta il ricordo e rende gli eventi più grandi e drammatici di quanto non lo siano stati veramente. Ma ciò non deve sminuire la realtà. Gli eventi eccezionali esistono, non sono molti, è vero, e non siamo sempre presenti ad assistervi. Ma alcune combinazioni particolari nella direzione del vento, nella sua durata e intensità, nel fetch (con questo termine viene indicato un tratto di mare, reale o potenziale su cui un vento insiste o può insistere), in alcuni casi convergono a generare un evento straordinario.
Allora onde inusuali, con frequenza inaspettata, cominciano a frangere sulle coste sommergendole e imbiancandole di schiuma, anche in tratti che avremmo pensato raggiungibili solo dagli spruzzi.
Fig. 1 - (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Carta batimetrica schematica dell'Arcipelago Toscano.
Con intensità crescente sono indicate le batimetrie maggiori.
Pianosa, come le altre isole dell'Arcipelago Toscano (Fig. 1), è sottoposta alle mareggiate, anche se negli ultimi anni sono pochi quelli che avrebbero potuto darne testimonianza. Già da molti anni, dalla chiusura del carcere nel 1998, Pianosa è quasi disabitata, soprattutto nei periodi invernali.
Ed è proprio questa particolare condizione, che fa percepire gli eventi ancora più eccezionali, suscitando in chi li vive sensazioni forti, tanto da giustificare esclamazioni del tipo: una buriana del genere un s'era mai vista!
Fig. 2 - (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Pianosa, area del paese fuori le mura.
1: Cala Giovanna,
2: Golfo del Cimitero;
3: Cala dei Turchi;
4: Scoglio del Marzocco;
5: Darsena di Augusto;
6: scogliera di levante con muro di contenimento;
7: strada che porta al molo del porticciolo,
8: zona della vecchia terrazza sul mare;
9: pontile di attracco della nave;
10: Spiaggia di Cala S. Giovanni.
Nel novembre 2008 il Sig. Carlo Barellini, presente sull'isola, ha potuto vivere e documentare uno di questi episodi "mai visti prima": cielo scuro e sole coperto, spruzzi e gocce d'acqua salata come pioggia, venti urlanti, rombi di onde che si abbattono sulla costa, e scrosci, come cascate, di acqua che torna verso mare dopo aver inondato le scogliere. Tutto accentuato dalla "perfetta solitudine". Non ci sono rumori o colori estranei, solo quelli della natura, e vi assicuro che quando Carlo racconta di aver avuto paura, c'è da credergli.
Fig. 3 - (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Darsena di Augusto e Promontorio del Marzocco durante la mareggiata.
Sul lato orientale della darsena, sopra la scogliera, ci sono i resti di un muro.
Alcuni blocchi di questo si ritrovano dentro la darsena stessa,
scaraventatici dalla mareggiata del Dicembre del 1979 che già sconvolse l'aspetto della darsena
eliminando una spiaggia e sostituendola con una vasca profonda circa 1,5m.
Non si sa bene quando questo muro sia stato eretto.
Senz'altro prima del ‘900, dato che è presente in tutte le foto disponibili di questa stretta insenatura.
Adesso, però, è chiaro quello che era il suo scopo:
proteggere la darsena (usata in passato per ormeggiare piccole imbarcazioni)
dalle mareggiate più forti che avrebbero scavalcato troppo agilmente la scogliera nuda.
(Foto di Carlo Barellini)
Nella notte fra il 27 e il 28 Novembre la costa esposta a NE è stata battuta da un grecale molto teso che ha generato effetti consistenti e ben apprezzabili: le onde scavalcavano la scogliera della Darsena di Augusto sia dal lato N che da quello E (Figg. 2,3), le secche di rimpetto emergevano di tanto in tanto di alcuni metri e le creste dei marosi arrivavano fin sopra la strada che porta al molo del porticciolo, abbattendo il muro esterno fatto di blocchi di arenaria (adesso sparsi sulla strada stessa); il pontile di attracco della nave veniva scavalcato dalle onde che col loro impeto sollevavano dal fondo massi di dimensioni superiori al metro e li depositavano nel piazzale antistante l'attracco (Fig. 4), la spiaggia di Cala S. Giovanni spariva sotto la schiuma dei frangenti (parte dell'arenile è stato completamente asportato).
Sempre nella giornata del 28 il vento, mantenendo l'intensità, girava a scirocco. Con questa direzione la costa del paese esposta è quella di Cala Giovanna, del Cimitero dei Civili e della La Cala dei Turchi; quest'ultima, in particolare, ha funzionato da "imbuto" esaltando i fenomeni: i bassi fondali e la conformazione stessa della cala hanno fatto sì che le onde aumentassero d'altezza fino a sfiorare i 5 m.
Inoltre, anche se per un tempo limitato, si verificava una situazione particolarissima, con il grecale "grosso" in scaduta e lo scirocco intenso montante.
In queste condizioni nella Darsena di Augusto arrivava il mare di grecale che scavalcava la scogliera di NE e quello di scirocco che si infilava dall'imboccatura a S, dal lato del Marzocco. Le onde, seppure molto smorzate in intensità invadevano l'arenile della darsena, e si scontravano al suo centro sommergendo tutto e materializzando una situazione fortemente anomala e surreale.
Fig. 4 - (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Imbarcadero durante la mareggiata. Il pontile di attracco veniva scavalcato dalle onde che, nel piazzale antistante, depositavano grandi massi sollevati dal fondale antistante. Nel riquadro, Carlo Barellini libera un tratto di piazzale per consentire le operazioni di imbarco.
(Foto di Carlo Barellini)
Dimensioni e frequenza di queste onde forse non avrebbero impressionato un abitante delle coste esposte al mare aperto, come ad es. quelli di Corsica o Sardegna occidentale, o dell'alta Toscana - Liguria, aree abbastanza vicine all'Arcipelago. Su queste, infatti, non sono inusuali mareggiate molto consistenti, con onde alte alcuni metri, e spesso più grosse di quelle che possono interessare le coste dell'Arcipelago Toscano.
In mare aperto, le caratteristiche dimensionali delle onde, ed in particolare la loro altezza, dipendono, in sostanza, da tre fattori: l'intensità e la durata del vento e il fetch. In particolare quest'ultimo elemento influisce molto, in quanto su specchi d'acqua molto limitati è difficile ottenere onde consistenti se non con venti molto forti e persistenti (Fig. 5). Sotto costa, poi, le cose cambiano.
Quando la profondità del mare è inferiore alla metà della lunghezza dell'onda (il limite massimo del rapporto fra altezza e lunghezza delle onde è di 1:7), cominciano anche gli spostamenti orizzontali della massa d'acqua e le creste crescono fino ad evolvere in frangenti.
Quanto successo in Pianosa il 28 novembre rimane eccezionale non tanto per lo scirocco, quanto per il grecale.
Fig. 5 - (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Grafico per il calcolo dell'altezza delle onde in mare aperto. Per il vento da grecale, per Pianosa si ha un fetch massimo di circa 60 km (vedi in Fig. 4). Le onde registrate avevano dimensione di oltre 3 m. Per formarsi avrebbero avuto bisogno di un vento costante di circa 30 nodi (circa 55 km/h) per 6 ore circa.
Infatti se per il primo si ha un fetch potenziale di centinaia di km, per il secondo non si va oltre i 60 km, considerando come distanza massima la costa del Golfo di Follonica. Con un fetch di questo tipo il vento deve essere stato molto intenso sia nella durata che nell'intensità.
Per generare onde di oltre 3 m di altezza si sarebbero dovute realizzare ad es. le seguenti condizioni: intensità di 30-40 nodi per almeno 6 ore.
In effetti, fra il 27 e il 29 novembre alcune stazioni meteo della costa maremmana hanno registrato venti forti con raffiche di quasi 100 km/h (informazioni sintetiche si possono ottenere sui siti internet il meteo, oppure lammamed rete toscana). Una combinazione eccezionale di condizioni, quindi, in grado di generare situazioni fenomenali lungo costa, capaci di modificarne l'aspetto anche molto rapidamente, magari in una sola notte.
Fig. 6 - (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Darsena di Augusto nel Dicembre del 1979 vista da S. Lo Scoglio del Marzocco sulla destra è alto circa 20m, stessa quota raggiunta anche dal colpo di mare.
Mareggiate come quella del 28 novembre non sono certo state uniche nella storia recente e remota di Pianosa.
Particolare quella dell'Epifania del 1919 che distrusse completamente "la terrazza sul mare" costruita all'esterno della radice del molo del porticciolo, oppure quella degli anni ‘70, le cui onde, frangendo sugli scogli del Marzocco, generavano spruzzi che ne raggiungevano la sommità (Fig. 6).
I segni di quelle recenti sono dati dai materiali (grossi massi o tronchi) depositati molto all'interno dalla linea di costa (Fig. 7); quelli delle mareggiate remote vanno invece cercati nei depositi geologici.
A Pianosa, lungo tutta la costa sud-orientale, si trovano dei depositi marini del Tirreniano (Pleistocene superiore); un periodo interglaciale (*) risalente a circa 120.000 anni fa, quando le temperature medie erano più alte, i ghiacciai quasi inesistenti, le calotte polari fortemente ridotte e il livello medio marino era di circa 6-7 m più alto dell'attuale.
Questi depositi, contenenti fossili di organismi oggi assenti sulle nostre coste, sono presenti lungo gran parte dei litorali italiani, dove risultano sospesi a qualche metro di quota sul livello del mare (deposti marini terrazzati).
Quelli di Pianosa sono rappresentati da pochi metri di spessore e sono per lo più caratterizzati da accumuli di materiale conchigliare, soprattutto gusci di Gasteropodi e Bivalvi.
Fra la Cala dei Turchi e il Cimitero dei Civili, la successione del Tirreniano non supera i 3m di spessore, e oltre alle facies conchigliari della parte alta, sono presenti, in quella bassa, accumuli di sabbie e ciottoli.
Fig. 7 - (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Il masso indicato dalla freccia, grande circa 3m, è incrostato, sul lato superiore da numerosi balanidi
(nel riquadro, meglio conosciuti col nome di "denti di cane").
Questi organismi vivono in aree appena sommerse, o nella zona di marea.
Oggi questo masso è appoggiato sulla scogliera, sulla spianata di erosione a circa 1,5m di quota,
fra P.ta Secca e la Cala del Bruciato (lato S dell'isola).
Molto probabilmente è stata una mareggiata da mezzogiorno a sollevarlo
e a depositarlo nella sua attuale posizione.
Questi ultimi hanno dimensioni medie di circa 10 cm o poco più, ma se ne possono notare alcuni anche molto grossi; elementi di oltre un metro di lunghezza (Fig. 8). In termini geologici, si tratta di depositi di spiaggia, formatisi in ambiente sommerso da una lama d'acqua molto bassa che in alcuni intervalli poteva anche essere assente (ambiente di spiaggia emersa).
La messa in posto e l'organizzazione di tutti i sedimenti, comunque, era dovuta esclusivamente all'azione del moto ondoso. Le mareggiate più intense, anche a quell'epoca, dovevano avere avuto un'intensità simile a quella osservata da Carlo Barellini.
I massi spostati il 28 novembre e portati sul piazzale del pontile di attracco hanno dimensioni simili a quelli più grandi presenti nel Tirreniano del Cimitero. In entrambi i casi gli assi lunghi dei grossi blocchi sono disposti parallelamente alla linea di costa. Il moto ondoso, infatti, con il movimento di risacca (anche quella più violenta) dispone i ciottoli al rotolamento, nella posizione meno "dispendiosa" in termini di energia e cioè con l'asse lungo perpendicolare alla direzione di spostamento.
Fig. 8 - (clicca sull'immagine per ingrandirla)
Cala dei Turchi: masso di dimensioni superiori al metro intercalato ai sedimenti basali del Tirreniano.
Il livello stratificato rappresenta, invece, i depositi conchigliari della porzione superiore;
in questi ultimi si rinvengono fossili di organismi oggi scomparsi dalle nostre coste,
fra i quali Strombus bubonius, nel riquadro.
Non è improbabile che i grossi blocchi della Cala del Cimitero siano stati spostati da una mareggiata da levante o scirocco-levante, direzioni per le quali la cala non ha ridosso.
Oggi però, nella Cala del Cimitero, non è più possibile che si verifichino le condizioni di 120.000 anni fa, con mareggiate che rovesciavano grossi blocchi sulla costa. Allo stato attuale, infatti, la Cala del Cimitero insiste su una piccola falesia con sabbia alla base.
Non ci sono massi in acqua da spostare, ma soprattutto non c'è una pendenza tale per cui quelli eventualmente presenti potrebbero risalire.
E il futuro, quali saranno le mareggiate del futuro? Non è possibile rispondere con certezza assoluta a questa domanda, ma possiamo supporre che non saranno di entità minore rispetto a quelle passate e qualcuna andrà a far parte della categoria "mai viste prima". Il riscaldamento globale che sta caratterizzando il nostro pianeta, ha innescato fenomeni eccezionali, come testimoniano ad es. i recenti uragani che hanno investito le coste della Florida.
Il Mar Mediterraneo reagisce a questi cambiamenti globali in maniera attenuata rispetto agli oceani.
Inoltre, il nostro Arcipelago, chiuso fra il blocco sardo-corso e la Penisola italiana, risulta ulteriormente protetto. Questo però, potrebbe non evitare un incremento nell'intensità dei venti e quindi anche in quello delle mareggiate future.
Gli autori sono particolarmente grati al Sig. Carlo Barellini per le testimonianze e per alcune foto messe a disposizione per questo articolo.
Luca Foresi
Dipartimento di Scienze della Terra - Università di Siena
Fausto Foresi
Associazione per la Difesa dell'Isola di Pianosa
(*) Periodi glaciali e interglaciali si alternano abbastanza ritmicamente sulla Terra. L'epoca attuale corrisponde ad un periodo interglaciale, con il livello medio marino in continua crescita. Dal Periodo Romano ad oggi la risalita è stata di circa 1 m. Circa 20.000 anni fa, culmine dell'ultimo periodo glaciale, invece, il livello del mare era di oltre 100m più basso dell'attuale. Si sarebbe potuto andare a piedi dallo Scoglio D'Africa fino a Piombino, e sulle Apuane dominavano i ghiacciai.