La Stampa, 23 settembre 2013
Il paese fantasma dell'isola di Pianosa
Dove un tempo vivevano 60 famiglie e mille detenuti ci sono case che si sbriciolano, uffici sprangati,negozi abbandonati, barche lasciate a marcire e una scuola scomparsa
Millequattrocento metri di muraglione con le torrette blindate, costruito su una spiaggia da sogno per fermare le velleità di fuga dei mafiosi e rimasto lì a sbarrar la strada a lucertole e leprotti; una montagna di soldi pubblici buttati nel mare turchese; un paese fantasma che crolla con i suoi tesori; un manipolo di volontari al lavoro per salvare il salvabile e a cui lo Stato chiede pure pegno mensile e un Parco che tenta di trovare la difficile strada per conciliare tutela ambientale ed equilibrio economico.
L'isola di Pianosa, minuscola lingua di terra a 13 Km Sud Ovest dell'Elba, altezza massima 29 metri (42 sul tetto del faro) e dal 1858 al 1998 l'Alcatraz italiana, quindici anni dopo la chiusura del carcere di massima sicurezza che ora qualcuno vorrebbe riaprire racchiude al posto degli ergastolani un concentrato dei paradossi che affliggono il Bel Paese. L'impatto è un salto all'indietro nel tempo: dove un tempo vivevano fino a sessanta famiglie e mille detenuti ci sono case (e un forte napoleonico) che si sbriciolano, uffici sprangati, insegne sbiadite di negozi abbandonati, barche lasciate a marcire nelle radure e pure dentro gli alloggi, campi da calcetto divorati dall'incuria e surreali cartelli che avvisano l'automobilista di rallentare in prossimità di una scuola scomparsa da un bel pezzo. Le uniche auto hanno i lampeggianti blu della Forestale o degli agenti della penitenziaria tornati per vigilare sulla dozzina di detenuti in semilibertà che fanno lavoretti di manutenzione e gestiscono il bar-ristorante (con annesso angolo de "L'Artigianato Galeotto") e l'albergo, dieci stanze da 50 euro a notte. Le strade sono dedicate alle vittime della mafia: c'è viale Falcone e Borsellino, piazza Boris Giuliano e così via ma le caratteristiche targhe di ceramica sono affisse a muri che ricordano Beirut più della Toscana.
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Per sbarcare in questo paese fantasma si oltrepassa il braccio di mare che separa Pianosa dall'Elba, 45 minuti di traversata salutati da delfini e tartarughe, 21 euro di biglietto più altri 8 per il Parco perché l'isola fa parte dell'area protetta che abbraccia l'arcipelago toscano. Vietate pesca e caccia, vietata la navigazione entro un miglio, vietato portar via qualunque cosa, bagni permessi in un'unica spiaggia. E mezza isola, quella adibita a carcere, è accessibile solo con le guide. Insomma turisti sì ma guardati a vista, e non più di 250 al giorno.
L'onlus Associazione difesa di Pianosa riunisce 250 nativi che offrono ai visitatori libri e una mostra in due stanze dignitose: fanno i turni per lavorare gratis e lo Stato ringrazia chiedendogli 535 euro al mese di affitto. Non basta: nei prossimi sette anni, così dice il contratto, dovranno fare lavori di recupero degli edifici per 130 mila euro che poi è ciò che serve di più in questo momento. A ridosso del mare c'è una tensostruttura che protegge ciò che resta della villa romana di Agrippa. Aveva un mosaico che si è sgretolato, mani caritatevoli hanno raccolto in un secchiello quei preziosi tasselli prima che finissero in acqua.
Vanno Segnini, il sindaco di Campo nell'Elba sotto cui rientra l'isola degli ergastolani, riassume con efficacia: "E' un gran casino". D'altra parte a metter becco in ogni scelta ci sono 8 enti pubblici e laddove servirebbe efficienza, dilaga la burocrazia. Franca Zanichelli, appassionata direttrice del Parco che due mesi fa ha inaugurato un centro visitatori (unica costruzione con impianti a norma), racconta che per lo scavo di 30 centimetri delle fogne sono serviti 6 anni. "E' una matassa, se tiri il filo si annoda ancora di più. Qui l'equilibrio si è rotto nel 1998 quando si decise di chiudere il carcere affidando tutto al Parco. Detenuti e agenti se ne andarono, ma il ministero no, perchè ha in uso molti degli edifici". Il problema ora è che gli edifici cadono a pezzi.
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«E' come tornare agli Anni 60, in un luogo senza scritte sui muri né moto d'acqua» sottolinea Zanichelli. Alla sera il minuscolo porticciolo si riempie di centinaia di barracuda attirati dalla luce del lampione superstite. Per la direttrice il futuro dell'isola può essere solo legato a un turismo ecosostenibile e a progetti scientifici, coinvolgendo anche le scuole. «Chi lo dice che l'isola non possa restare così? Salvando quegli edifici di valore, ma toccando poco o nulla. Anche la malinconia e l'oblio hanno un valore. Se apri un argine, entra il mare. Lo sa quanti privati potrei trovare, per trasformare la Villa dell'Agronomo in un resort? Ma ombrelloni e sdraio sarebbero una follia, qui. Ecco perché il Parco è visto male. Ora c'è un accordo per far tornare 40 detenuti a lavorare, si parla anche di recuperare le celle in cui furono reclusi personaggi come Pertini, ma anche come Riina, per mostrarle ai turisti». E il muraglione sulla spiaggia? «Abbattere quell'ecomostro costa 2 milioni di euro – dice la direttrice -. Si potrebbe abbellire con murales o ricoprire di sabbia per ricostruire le dune scomparse».
Il sindaco aggiunge: «I problemi ci sono, manca un progetto complessivo. Dopo 12 anni di contenzioso una sentenza ci ha affidato gli usi civici, cioè i terreni, ma tutta l'isola è sotto vincolo. Noi abbiamo istituito il collegamento marittimo e la gestione dei rifiuti, rispetto a cinque anni fa ci sono stati grossi miglioramenti ma non riusciamo a sfruttare l'isola come meriterebbe. Con investimenti privati si potrebbero fare progetti seri. Oggi crolla tutto».
La famiglia di Giuseppe Mazzei Braschi, 73 anni, ufficiale della Marina, arrivò qui nel 1860. Oggi lui presiede l'onlus per la difesa di Pianosa e spiega: «Abbiamo chiesto una sede 13 anni fa, quest'anno a luglio finalmente abbiamo firmato il contratto. Non trovo normale che si debba pagare per fare volontariato, ma qui è così. Con 17 mila euro abbiamo rimesso a posto le cappelle del cimitero e tra qualche settimana dovrebbe cominciare la messa in sicurezza della Torre dell'Orologio. Il problema è sempre il solito, non ci sono soldi. Ma riaprire il supercarcere sarebbe una follia, con spese pazzesche. Quest'isola rivivrà quando torneranno non i mafiosi, ma i gerani e i panni stesi sui davanzali».
Stefano Sergi