La Stampa, 24 giugno 2016
La rinascita di Pianosa. L'isola dei detenuti diventa l'Eden del vino.
Il gioiello toscano ospiterà 32 ettari di vigneto
È stato per oltre cent'anni un inferno circondato dall'acqua. Grazie alla vite e al vino potrà diventare, se non proprio un paradiso, un luogo di rinascita naturalistica e di rivincita sociale. E' il destino di Pianosa, l'isola piatta dell'arcipelago toscano, colonia penale agricola fin dai tempi dell'Unità d'Italia e poi carcere di massima sicurezza che ospitava brigatisti e mafiosi. Fu chiuso nel 1998 e oggi l'isola è quasi completamente disabitata, fatto salvo per una trentina di detenuti in semilibertà distaccati dal penitenziario di Porto Azzurro per fare un po' di manutenzione e coltivare un orto biologico.
L'azienda toscana Frescobaldi ha chiesto e ottenuto da Parco nazionale, amministrazione penitenziaria e Comune di Campo dell'Elba la possibilità di impiantare 32 ettari di vigneto in questo grezzo e quasi inaccessibile gioiello dalla vaga forma triangolare al largo della Toscana. L'idea è quella di replicare in modo più ampio il fortunato progetto enologico-sociale avviato nel 2012 sulla gemella (anche se rocciosa) Gorgona, l'unica isola penitenziaria ancora attiva in Italia dove i detenuti, guidati dagli enologi della Frescobaldi, hanno dato vita al vino Gorgona, un prezioso bianco da uve Vermentino e Ansonica che si vende a 80 euro a bottiglia nelle migliori enoteche e nei ristoranti non solo italiani.
La conferma è arrivata mercoledì dal provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria della Toscana, Giuseppe Martone, durante una visita al vigneto di Gorgona. «Firmeremo a breve l'accordo definitivo - ha detto Martone -, per consentire l'impiantamento dei primi 11 ettari entro la fine dell'anno: saranno gestiti dai detenuti, impegnati in un lavoro regolarmente retribuito».
Più che una novità, la vite a Pianosa è un gradito ritorno. «A fine Ottocento, la colonia penale agricola produceva 2mila quintali di uva all'anno, che i carcerati vinificavano in una cantina tuttora esistente- dice il marchese Lamberto Frescobaldi -. Il nostro sogno è di riattivarla, offrendo a chi sconta la pena l'occasione di imparare un mestiere. Con 32 ettari a disposizione, possiamo avviare un progetto riabilitativo in grado di autosostenersi anche a livello economico». I primi sopralluoghi tecnici sono già stati fatti: «Abbiamo identificato le zone migliori e stiamo facendo alcuni sondaggi per capire quali vitigni utilizzare su un'isola dove il pianoro più alto è di soli 29 metri e dove il vento soffia alla forza di 60 nodi. Punteremo su varietà bianche come l'Ansonica e il Vermentino, ma anche su qualche rosso».
Il primo calice di «Pianosa» si potrà bere tra cinque anni. Ma nell'attesa, si può sorseggiare il quasi introvabile «Gorgona», prodotto in non più di quattromila bottiglie. Ognuna delle quali racconta una storia di sofferenza e di speranza. Come quella di Chargui, tunisino di 46 anni. Gliene mancano due alla fine della pena, gli ultimi quattro li ha trascorsi nella colonia penale e a settembre ha fatto la sua prima vendemmia. «Ho moglie e due figli a Napoli - racconta tra i filari del vigneto -. Grazie a questo progetto mi sto costruendo un futuro e un presente meno amaro: posso dire ai miei bimbi che papà non è solo chiuso in galera, ma è a lavorare sull'isola».
È un vino squisito, ma da groppo in gola, il Gorgona. Lo stesso groppo che ti prende quando lasci l'isola con la sua bellezza sfacciata e le sue ferite in cerca di rimarginazione.
Roberto Fiori