Napoleone Bonaparte durante il suo passaggio all'isola d'Elba ebbe il proposito di ricoltivare e ripopolare l'isola della Pianosa, e come vedremo, egli può essere considerato il precursore di un progetto che e perdurerà anche nelle intenzioni del successivo Governo Toscano dopo la Restaurazione.
L'isola di Pianosa, insieme all'isola d'Elba, era "entrata" nel Granducato di Toscana solo dopo il Trattato di Vienna del 1815, per cui l'Imperiale e Reale Governo Toscano doveva far fronte alla necessità di non ledere troppo gli antichi diritti dei nuovi sudditi elbani che erano soliti andare in Pianosa per la coltivazione dei cereali e per il pascolo del bestiame.
In effetti il comune di Marciana, dopo la Restaurazione, si intestò subito l'affitto dell'isola per la somma di £ 1500 annue da recuperare subaffitandone i terreni seminativi a 4 lire per saccata (63 are circa) e esigendo 5 paoli per ogni capo di bestiame equino o bovino, e 1 paolo per quello ovino (è curioso al riguardo che lo stesso Napoleone, il 10 dicembre 1814, emanò un regolamento con le stesse cifre di tassazione del bestiame - cfr. A.S.C.P., Corrispondenza Generale, T 13, N°2884 -)
Pianosa, a differenza di tutte le altre isole più estese dell'Arcipelago Toscano, non aveva nessun proprietario locale, nè abitanti, nè vincoli feudali per cui, in un periodo in cui si iniziano a veder nascere imprese industriali agrarie, la sua appetibilità da parte di speculatori più o meno seri non restò inosservata.
E anche il Governo Toscano non fu alieno dal vagliare le molteplici proposte che venivano presentate da privati; tenendo sempre in considerazione il fatto che il tipo di sfruttamento messo in atto dal comune di Marciana non includeva alcun progetto di riqualificazione, coltivazione intensiva e ripopolamento dell'isola come invece Napoleonee stesso aveva ipotizzato e che anche il Governo Toscano auspicava.
Infatti dal 1816 al 1829 venne esaminata una discreta quantità di proposte (cfr. A.S.F., Capirotti di Finanza, 89, Fascicolo Pianosa) presentate al Governo da parte di privati cittadini (Lorenzo Marzocchi, Tommaso dal Poggio, Vincenzo Foresi, Giovacchino Lami, Luigi Porte) che chiedevano in affitto l'isola, ma che tu1ttavia ebbero una risposta negativa da parte del Real Governo Toscano proprio perchè nessuno dei richiedenti prevedeva la fondazione e lo sviluppo di una colonia agraria con l'integrale messa a coltura dei terreni.
Dopo tutti questi tentativi falliti, la costituzione di un'impresa agraria in Pianosa perse un po' interesse, ma la sete di nuovi sbocchi economici, ricercati in particolar modo dai commercianti Livornesi, si destò in Carlo Stichling, facoltoso negoziante tedesco - dal 1830 console prussiano a Livorno - il quale, desideroso di intraprendere una nuova avventura commerciale, capì che in Pianosa poteva essere iniziata un'impresa capitalistica. Inizialmente si rese conto che tale impresa avrebbe avuto bisogno di una discreta disponibilità di capitali, per cui si associò a un potente commerciante di grano livornese, Gelasio Semiani, con una certa padronanza di conoscenze in campo agricolo.
I due proposero il proprio progetto al geografo fiorentino Attilio Zuccagni Orlandini, che già nel 1832, nella pubblicazione del suo Atlante Toscano, aveva osservato le potenzialità della Pianosa lasciata ormai in completo abbandono dalla partenza di Napoleone. Il 15 maggio 1833 lo Zuccagni presentò a nome dei due commercianti la supplica al Granduca per ottenere l'enfiteusi perpetua della Pianosa. La pratica ebbe un lungo iter che si risolse con il rescritto del 20 gennaio 1835 che assegnava l'enfiteusi perpetua ai richiedenti. Nel frattempo però il Semiani non aveva più la disponibilità economica inizialmente prevista e il 27 giugno 1834 aveva già ceduto la sua parte allo Stichling.
Il 13 febbraio 1835 quest'ultimo stipulò il contratto con cui l'Amministrazione Demaniale trasferiva il livello perpetuo dell'isola per il canone annuo di £ 1.500 toscane: il Governo toscano si era riservato una zona (fra il Forte della Teglia e l'Antico Borgo) nella quale il nuovo livellare avrebbe dovuto provvedere a costruire un parapetto alla piattaforma per cannoni e alcuni casotti militari e di sanità. Durante il medesimo anno lo Stichling, a ricompensa del grande impegno profuso, nominò lo Zuccagni Orlandini socio d'industria col diritto al 9% degli introiti.
L'impresa fu più difficile del previsto e furono chiesti lumi anche ai membri della prestigiosa accademia fiorentina dei Georgofili: nel 1835 infatti il georgofilo Lapo de' Ricci fece tappa alla Pianosa dove visitò le colture e osservò gli olivi che vi erano in abbondanza senza tuttavia proporre soluzioni convincenti. Iniziava così un nuovo corso per lo sfruttamento delle risorse agrarie, viste non più come riserve personali ma come fonte di un'industria ben organizzata. La testimonianza più palese fu la pubblicazione a Firenze nel 1836 del volumetto dello Zuccagni Orlandini intitolato Topografia fisico storica dell'isola della Pianosa, dove l'autore illustrava tutte le possibilità economiche riconducibili a questa impresa industriale agraria, e cercava di dimostrare come lo sfruttamento della terra adesso andasse visto come un mezzo per la produzione di beni e quindi di utili: una sorta di speculazione che fino ad allora non era minimamente immaginabile a riguardo di proprietà terriere.
L'Enfiteuta, dal 1835 al 1838, si servì per l'amministrazione dell'impresa di tre diverse "agenzie": la prima (13 marzo - 17 giugno 1835) fu quella di Silvestro Pisani di San Piero in Campo. In questo periodo furono iniziati gli scassi per le vigne, potati e innestati un migliaio di olivi e fu iniziata la costruzione di una casa presso il porto; le spese risultarono ingenti e l'agenzia fu licenziata. A luglio fu sostituita da quella del genovese Battista Guano ma sempre con gli stessi risultati. Ed è a questo punto che si introduce la ubblicazione dello Zuccagni, di cui abbiamo pocanzi accennato, e che ebbe lo scopo di divulgare le immense potenzialità dell'impresa con il fine di trovare dei soci di capitale e d'industria utili a risollevare lo stato delle finanze dell'Enfiteuta. Così si cercarono - e si trovarono - nuovi azionisti che potessero subentrare con i loro capitali nell'impresa: fra questi vi era il conte Godardo Schaffgotsch -con più quote di tutti -, il conte Waldeburg Truchsess, Olimpia Wilkens, il signor Benecke di Berlino, e il vecchio Gelasio Semiani.
I problemi però continuarono e le difficoltà maggiori furono incontrate nel trovare personale specializzato disposto a stabilirsi sull'isola: fu selezionata la famiglia Pieracci di Pistoia, altre due famiglie da Lamporecchio, altre persone furono fatte venire da Campo assicurando loro un contratto triennale di mezzadria. Molti se ne andarono via dopo poco tempo, dal momento che l'impresa non aveva ancora fornito gli alloggi previsti e queste persone si videro costrette a vivere nelle grotte dell'isola. Tuttavia si cercò di trovare personale ovunque, non in ultimo contadini dalla Germania - patria della maggior parte degli azionisti - e fra gli ex soldati anch'essi tedeschi: molti di essi, "reclutati" nel 1837 con un contratto triennale, a febbraio del 1838 si erano già allontanati dall'isola e dalle sue dure condizioni di vita e di lavoro! Resisterono solo dei pastori prussiani forse perchè conducevano una vita meno sacrificata al seguito delle greggi.
Il terzo agente, Leone Wilkens - cognato del Guano - cercò di ripristinare i rapporti divenuti ormai tesi fra lo Stichling e lo Zuccagni che mal vedeva la troppa presenza tedesca nell'impresa: iniziarono i sospetti sui conti e sui bilanci, e furono incaricati dei periti per accertare eventuali irregolarità.
I rapporti fra i soci si deteriorarono ancora di più e lo Zuccagni - insieme allo Schaffgotsch - imputarono tutte le cause dei problemi all'inettitudine dello Stichling colpevole di aver condotto l'impresa senza intelligenza, regola d'arte ed economia. Fu chiesto allo Stichling di abbandonare l'impresa a favore di un nuovo agente, anche se - da buon commerciante - lo Stichling stava già cercando altri soci che lo potessero liquidare (sono di questo periodo alcuni articoli di giornale apparsi anche in Francia, sulla ricerca di azionisti per questa impresa agraria), ma alla fine decise di cedere le sue quote agli altri due azionisti e il 10 marzo 1839 cessava la sua presenza nell'impresa pianosina.
Le opposte parti si fecero varie battaglie legali per l'approvazione dei bilanci e la cessione dei beni edificati sull'isola. Il tribunale di Portoferraio tolse il possesso allo Stichling che dovette ammettere la sua incapacità di gestire un'attività economica agraria con tempi e dinamiche molto diversi da ciò a cui era abituato con la sua attività di commercio e di negoziante.
Nel 1840 il Governo fece la cessione della Pianosa al conte Godardo Schaffgotsch, socio con la maggior parte delle azioni subito dopo lo Stichling.
Lo Zuccagni Orlandini, ancora socio ma con una quota del 5% nel 1845, dopo aver terminato la sua monumentale opera geografica (Corografia fisico storica e statistica dell'Italia e delle sue isole) si impegnò in un nuovo progetto di colonizzazione dell'Isola. Questa volta l'impresa fu attivata con nuovi propositi e con un approccio e un rigore più scientifico; i problemi riscontrati nelle precedenti esperienze erano sostanzialmente riconducibili a due principali difficoltà: il reperimento di personale disponibile a insediarsi sull'isola, e la conoscenza di nozioni agrarie scientificamente provate.
Lo Zuccagni parve trovare la soluzione a tutti e due i problemi: per le nozioni agrarie, essendo stato membro dei Georgofili per molti anni, interessò l'Accademia in modo sistematico e ne ebbe una consistente risposta in varie lettere e adunanze - come l'intervento di Antonio Salvagnoli nel 1846 sul metodo di addomesticare gli olivi -, per la mano d'opera propose l'utilizzo a titolo gratuito di ragazzi prelevati da orfanotrofi: quest'idea sfumò a causa degli avvenimenti politici del 1848-49. Nel 1850 il Governo Toscano stava per far decadere il contratto poichè l'enfiteuta peccava di dare troppa libertà all'agente Giuseppe Mimbelli, colpevole di gestire il personale in modo inopportuno e di vessare i coloni con molte angherie (delle quali si ha testimonianza in varie corrispondenze con l'amministrazione governativa - cfr. A.S.F., Capirotti di Finanze, fascicolo 45: "1850: abusi contro i coloni" -), e inoltre di non aver ottemperato al contratto enfiteutico costruendo solo 12 case a fronte delle 20 previste.
La nuova impresa capitalistica livornese stava quindi per fallire definitivamente, ma anche quando nel 1851 fu reintrodotto un sistema di privatizzazione basato sulla mezzadria, riemersero i medesimi problemi di isolamento e di gestione, e lo Zuccagni, insieme agli altri soci concessionari, furono ben lieti di lasciare tutto al Governo Toscano, che il 27 aprile 1855 rientrò in pieno possesso dei propri beni demaniali.
Nei tre anni successivi il Governo Toscano provò a introdurre pochi detenuti in grado di lavorare i campi senza dover sostenere spese eccessive: dapprima ragazzi "corrigendi" ai quali i lavori agricoli avrebbero reso un buon servizio rieducativo, poi, visto che la campagna necessitava di "braccia robuste", furono scelti detenuti adulti. L'esperienza produsse buoni risultati, tanto che il 9 aprile 1858 venne approvato lo Statuto di istituzione della colonia penale agricola di Pianosa, la prima in Italia seguita da una lunga serie in molte altre isole. I primi dodici detenuti che vi furono condotti provenivano dal carcere fiorentino delle Murate.
Napoleone nei pochi giorni di permanenza all'Elba si scontrò immediatamente con gli stessi problemi che abbiamo appena descritto a riguardo del reperimento della mano d'opera necessaria al ripopolamento e alla coltura della Pianosa e anche a lui - come allo Zuccagni poi e al Governo Toscano in seguito - parve una soluzione ottimale togliere detenuti rinchiusi nelle carceri e impiegarli in attività lavorative alla Pianosa.
Altrimenti perchè esisterebbe da secoli il detto "mi costi più dell'orzo di Pianosa"? Quest'isola ha sempre avuto in sè molteplici potenzialità ma la sua storia le ha riservato un destino diverso dalle altre isole dell'Arcipelago Toscano: essere appartenuta a delle famiglie - prima gli Appiani e poi i Boncompagni Ludovisi - che ne disdegnavano la difesa per mancanza di fondi e di interessi consistenti, l'ha resa covo di pirati e priva degli importanti controlli di sanità marittima, quindi molto pericolosa per coloro i quali si avvicinavano a sfruttarne le risorse; quando il problema della pirateria è scemato l'unico modo per sfruttarla al meglio parve quello di affittarne i terreni da semina e tassarne il bestiame che vi si conduceva, quindi alla fine sempre poco conveniente a fronte delle spese da sostenere e dei pericoli da affrontare.
La soluzione finale della colonia agricola sembrava e sembra il male minore, visto che ancora a oggi molti lavori sull'isola sono condotti da un piccolo numero di detenuti provenienti dal carcere di Porto Azzurro.
Ilaria Monti