Corriere, novembre 2023
Pianosa, l'isola sospesa tra parco e carcere, in cerca del suo futuro.
di Elisa Messina
Produzione Corriere Tv Melania Imerio
Video e foto di Luca Lamura ed Elisa Messina
Viaggio nell'isola "di Stato" tra meraviglie naturali e rovine causate dall'uomo. Dove i detenuti ora lavorano "liberi" cercando un riscatto.
Arriviamo a Pianosa in una giornata d'autunno tiepida ma senza sole. Il cielo uniforme dà un‘aria più drammatica del solito a quest'isola piatta dell'Arcipelago Toscano a pochi chilometri dall'Elba. Un tempo la chiamavano "l'isola del diavolo". Forse perché questo triangolo di terra lontano da tutto è, dai tempi dell'impero romano, il luogo perfetto in cui esiliare il nemico del momento: isola carcere per vocazione.
Il muro Dalla Chiesa, costruito nel 1977 a protezione del supercarcere, oggi è inutile e pericolante in più punti: un ecomostro da abbattere. Ma l'operazione ha costi proibitivi
Ma la Pianosa di oggi non ha niente di sinistro. Semmai è un'isola ferita. Il profilo del borgo storico con il porticciolo ottocentesco e la fortezza napoleonica si fa via via più netto man mano che la barca si avvicina. Un gioiello, dal mare. Ma poi, una volta sbarcati, vediamo solo tetti sfondati e muri scrostati: un paese fantasma, un relitto in muratura reso ancor più triste dalle transenne e dalle scritte "pericolante".
Il Ministero di Giustizia ha ceduto all'Agenzia del Demanio (ma sempre di Stato parliamo), il controllo sull'abitato di Pianosa solo nel 2021, ovvero ben 23 anni dopo la dismissione del carcere, avvenuta nel 1998. Ma il degrado del paese ci racconta di una colpevole incuria che dura da parecchi decenni.
I muri a secco della Colonia agricola di Pianosa stanno crollando
A destra del paese le mura ottocentesche, severe ma discrete, ci riportano al tempo della colonia penale agricola, cuore storico di Pianosa da 150 anni prima che venisse "violentata", alla fine degli anni 70, dall'introduzione del regime di massima sicurezza. Ed eccolo lì, tutt'altro che discreto, il simbolo di quel periodo: il muro Dalla Chiesa: un chilometro e mezzo di cemento armato, testimonianza inquietante dei tempi in cui i terroristi prima e i boss della mafia dopo furono trasferiti qui. La vita del paese, a sinistra, quella della reclusione a destra.
Ma i due mondi, prima del supercarcere, non erano poi così separati: le abitazioni delle famiglie degli agenti della Penitenziaria, gli uffici, l'emporio, l'albergo, la farmacia, l'ufficio postale, l'ambulatorio, la casa dell'agronomo e del ragioniere… tutto faceva parte di un'economia circolare il cui motore era la grande colonia agricola con le sue coltivazioni e i suoi allevamenti di bestiame portati avanti dal lavoro dei detenuti comuni. Anzi, i più meritevoli. Liberi e reclusi incrociavano le loro vite.
"A 5 anni mi ero rotto la testa giocando e sono stato curato da un ergastolano che dopo anni e anni che lavorava a fianco del dottore era diventato più bravo di lui" racconta Pino Mazzei, 83 anni e "pianosino" doc, perché figlio di uno degli ultimi ufficiali postali dell'isola e oggi membro dell'Associazione per la salvaguardia dell'Isola di Pianosa.
L'isola è aperta al turismo, ma il paese ottocentesco dove attracchiamo ora è tutto una rovina. Le strade sono da aggiustare, i muri a secco da restaurare. Manca una rete fognaria adeguata. La diramazione Agrippa, supercarcere dove sono stati rinchiusi i boss mafiosi è chiuso dal 1998. Ma gli immobili carcerari e altri sono tornati all'Agenzia del Demanio solo nel 2021. Una sezione presto diventerà visitabile.
Nell'area dove era stato confinato Sandro Pertini, dal 1931 al 1935, risiedono ora alcuni detenuti che lavorano e si spostano liberi grazie al regime particolare regolato dall'articolo 21.
Stradine e piazzole del borgo storico di Pianosa
Stradine e piazzole del borgo storico di Pianosa, oggi un paese fantasma, sono dedicate alle vittime della mafia, perché qui sono stati reclusi i super boss di Cosa Nostra. Ma i cartelli con i nomi di Rocco Chinnici o Giovanni Falcone sono gli unici elementi di "arredo urbano" recenti accanto alle scritte "pericolante".
Ma con l'avvento del supercarcere si dovette blindare l'isola e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, allora in prima linea contro il terrorismo, individuò in una delle diramazioni carcerarie di Pianosa una destinazione adatta per i capi delle Brigate Rosse – durante gli anni di Piombo le rivolte nelle carceri erano all'ordine del giorno – e fece costruire il muro sul versante che si affaccia sull'Isola d'Elba. Oggi, nell'isola-parco aperta al turismo quel muro è un ecomostro che tutti vorrebbero vedere abbattuto.
Ma tutti chi? Ecco il motivo delle sofferenze di Pianosa: ad avere voce in capitolo sull'isola e sulle cose da fare e da non fare ci sono: il ministero di Giustizia tramite l'amministrazione penitenziaria che gestisce la quindicina di detenuti presenti e anche un certo numero di alloggi in uso alla Polizia Penitenziaria come foresteria estiva per famiglie, l'Agenzia del Demanio a cui il Ministero di Giustizia ha ceduto gli immobili - ex carcere e paese - , il Parco dell'Arcipelago Toscano in cui Pianosa è inserita e che gestisce il flusso dei visitatori, il Comune di Campo nell'Elba, del cui territorio l'isola fa parte e che è proprietario di alcuni edifici, la soprintendenza archeologica del Ministero della Cultura (sull'isola molte sono le testimonianze romane e altre ne stanno per venir fuori), infine, persino il Vaticano, proprietario di un sistema di catacombe cristiane visitabili ma ancora tutte da studiare. Capite che anche aggiustare una porzione di muro a secco caduto – e qui sono parecchi - diventa un articolato problema di competenze. Per non dire un gioco di rimpalli.
La Casa dell'agronomo
Nel vecchio paese il palazzotto ottocentesco che era la casa dell'agronomo è uno dei pochissimi ristrutturati e riqualificati a uso pubblico - oggi ospita il centro visite del Parco con un museo multimediale - assieme al vecchio ufficio postale, oggi sede dell'Associazione per la salvaguardia dell'Isola di Pianosa, dove una mostra fotografica racconta la storia dell'Isola e dei suoi abitanti. Il piccolo hotel e il ristorante, invece, sono stati ristrutturati dal Comune di Campo nell'Elba e affidati in gestione a una cooperativa.
Gabriella Bianchi, una dei volontari dell'Associazione per la salvaguardia dell'Isola di Pianosa.
Associazione che, oltre a gestire la mostra, fa svolgere lavori di recupero sull'isola offrendo lavoro ai detenuti
Ma Pianosa non è, e non vuole essere, nonostante le mille difficoltà, un'isola museo: è un'isola viva dove, in qualche modo, si sta ricreando quella convivenza tra liberi e detenuti che era il suo unicum. Perché qui, da una decina d'anni, sono stati destinati alcuni carcerati di Porto Azzurro che godono dei privilegi dell'articolo 21, ovvero, poter lavorare fuori dalle mura del carcere con regolare contratto e stipendio: tra agricoltura, muratura, varie manutenzioni, ristorante e hotel il lavoro non manca, soprattutto d'estate.
Ora sono una quindicina in tutto che si riducono durante l'inverno ma potrebbero aumentare prossimamente se, come ci annuncia un assistente capo della Polizia Penitenziaria di Pianosa, Claudio Cuboni, arriveranno i fondi Ue per realizzare un progetto di formazione al lavoro: "Altrimenti un detenuto non formato al lavoro, quando esce, non ha futuro".
Per incontrarli bisogna entrare nella storica colonia agricola, passando sotto il vecchio orologio che dal 1860 ha scandito il tempo della pena e del lavoro: la porta nelle vecchie mura ora è sempre aperta.
L'ingresso nella colonia penale. La torre e l'orologio sono stati restaurati dall'Associazione per la salvaguardia dell'Isola di Pianosa
Nell'orto Ilir, ergastolano, usa con energia la zappa in un fazzoletto di terra dove crescono ordinati ciuffi di bietole. Lui e gli altri in articolo 21 a Pianosa circolano liberi, e si spostano in bicicletta. In questa stessa zona un gruppetto di turisti segue una guida dalla maglietta celeste con il logo del Parco: i visitatori possono circolare solo se accompagnati da guide ambientali.
L'ente Parco dal 1997 governa gli accessi a Pianosa in virtù di una delibera urgente fatta subito dopo la chiusura del carcere per mantenere la condizione protetta dell'isola: approdo e avvicinamento erano vietati per sicurezza, ora sono vietati per preservare l'area marina rimasta incontaminata. Restano off limits le diramazioni carcerarie storiche, Sembolello, perché qui risiedono i detenuti, e Agrippa, dove c'era il supercarcere, perché qui è tutto è in abbandono.
Come sono in abbandono le altre diramazioni più remote: il Marchese, a nord dell'isola, il Giudice, a ovest.
Luigi Bove, commissario Polizia Penitenziaria: "A Pianosa abbiamo 15 detenuti in articolo 21. Poter lavorare significa avere una retribuzione da mandare a casa e ricevere una formazione che sarà fondamentale una volta fuori". "Questa è un'esperienza vincente, da noi la recidiva è dello 0,5%" dice Cuboni, assistente capo, PP
Giampiero Sammuri, Presidente Parco Arcipelago Toscano
"Sul 94% del territorio dell'isola i visitatori possono circolare solo se accompagnati dalle guide" Giampiero Sammuri, Presidente Parco Arcipelago Toscano
Arrivando al Sembolello non si ha la percezione di un carcere e non lo è. Oltre il muro che circonda il basso edificio c'è un giardino con una magnolia gigante e bouganville in fiore, non un cortile per l'ora d'aria, e una rastrelliera per biciclette. I ragazzi detenuti sono arrivati da poco dal lavoro e aspettano il pranzo.
Non ci sono celle, ma camerette accoglienti a due letti con le porte aperte. E le tendine alle finestre fanno dimenticare le sbarre. Non fosse per lo spioncino accanto alle porte (retaggio antico) potrebbe essere un ostello e di campagna.
Chiediamo di vedere la cella di Sandro Pertini, confinato qui dal regime fascista dal 1931 al 1935: è una delle tante, nessun segno. Una targa forse ci starebbe bene. Ma questo non è un museo.
Sembolello, il "carcere" dalle porte aperte
Diventerà invece museo, allestito dall'ente Parco, una piccola porzione della diramazione Agrippa: era il sanatorio dove, dal 1884 al 1965 sono stati inviati i detenuti ammalati di Tubercolosi, nella convinzione, errata, che l'aria di mare facesse bene ai tisici. Tanti quelli che morivano, pochi quelli che guarivano. Tra queste mura già impregnate di sofferenza fu allestito il carcere di massima sicurezza nel ‘77 e poi di nuovo negli anni 90.
Roberto Puccini, ispettore superiore di Polizia Penitenziaria di Porto Azzurro e referente della direzione per il presidio di Pianosa, ricorda bene i momenti concitati in cui arrivò l'ordine di preparare le celle di isolamento per i boss mafiosi che sarebbero arrivati dall'Ucciardone: "La sezione era in disuso da tempo. Sembrava escluso il riutilizzo. Ma il giorno stesso della strage di Capaci, il 23 maggio 1992, cambiò tutto. Per due mesi agenti e detenuti comuni lavorammo fianco a fianco, 12 ore al giorno, per preparare i padiglioni Pegaso e Zante per i nuovi ospiti in regime di 41bis".
Un'ala del padiglione Agrippa ora abbandonato
Ma la sistemazione di una parte di Agrippa è piccola cosa rispetto ai grandi e urgenti interventi che sono necessari. Chi si farà carico di sistemare i muri a secco, bellissimi e unici, che caratterizzano l'isola? L'amministrazione penitenziaria con il lavoro dei detenuti o il Demanio? Il parco o il Comune di Campo nell'Elba? Niente può essere fatto sull'Isola senza la concertazione degli enti che qui controllano tutto. La salvezza di Pianosa, ovvero non avere mai avuto proprietà privata (chi lavorava sull'isola abitava nelle case di proprietà dello Stato e le lasciava a fine incarico) è al tempo stesso la causa del suo degrado.
"Durante il periodo carcerario decideva direttamente il governo centrale bypassando sia l'amministrazione comunale che la soprintendenza. Con la chiusura del carcere di massima sicurezza si è creato un blackout ad oggi non ancora risolto", osserva il sindaco di Campo Davide Montauti che oggi si trova a fronteggiare la presenza di immobili della cui costruzione non esiste traccia negli archivi del municipio.
Gli orti di Pianosa nello spazio della vecchia colonia penale
La soluzione non è certo nella privatizzazione di parti dell'isola, come in passato qualcuno ha tentato di fare fortunatamente senza successo. Oltretutto adesso i terreni di Pianosa, è questa è un'altra sua unicità, sono "demanio civico" di Campo nell'Elba.
Che significa? "Che non tanto il Comune, ma tutta la comunità è diventata dal 2001 proprietaria di tutti i terreni agricoli – spiega il sindaco Montauti – dopo una battaglia con lo Stato durata un secolo. Si tratta di un risarcimento perché, istituendo il carcere alla fine dell'800, gli abitanti delle frazioni di San Piero e Sant'Ilario erano stati privati delle terre che coltivavano sull'isola. Oggi vorremmo, come Comune, sostenere nuovi progetti agricoli, per esempio di viticoltura".
Lorella Alderighi, Soprintendenza Archeologica Ministero della Cultura
"Una nuova campagna di scavi archeologici cercherà la residenza di Agrippa Postumo che qui fu recluso e poi assassinato in epoca imperiale". Lorella Alderighi, Soprintendenza Archeologica Ministero Della Cultura
Certo, ogni progetto qui deve fare i conti con la sua sostenibilità economica. Tra gli elbani c'è un detto: "Mi costi più dell'orzo a Pianosa" che risale agli anni in cui i coltivatori andavano, con grandi sacrifici e non solo monetari, a seminare sulle terre pubbliche dell'isola piatta orzo e grano difficili da coltivare nelle colline dell'Elba.
Così come ogni progetto che riguarda Pianosa va fatto rispettando il suo ambiente naturale, tutelato dal Parco, e i vincoli imposti dalla soprintendenza archeologica.
Camminando sulle strade bianche lo sguardo va oltre i vecchi muri a secco, negli spazi un tempo coltivati e ora riconquistati dalla macchia mediterranea. "Gli interventi del parco hanno permesso il ritorno di animali autoctoni ma scomparsi da tempo, come le berte, uccelli marini dal canto inconfondibile. Ora stiamo re-introducendo i barbagianni in collaborazione con la Lipu" racconta il presidente del Parco Giampiero Sammuri.
Una veduta della parte nord dell'Isola
"Rendere Pianosa parte del Parco nazionale è stato un passo di fondamentale importanza: ha riaperto l'isola proibita agli italiani e ha preservato un'area marina rimasta intatta. Ma l'equilibrio è delicato" osserva Umberto Mazzantini, elbano, responsabile nazionale isole minori di Legambiente e membro del Consiglio direttivo del Parco di cui però non condivide tutte le scelte a partire dal numero dei turisti ammessi sull'isola: "Era stato deciso un numero contingentato di ingressi giornalieri, in alta stagione, di 250 persone. Ora sono diventate 450. E il martedì, quando arriva la nave da Piombino, è concessa una deroga fino a 750".
Il presidente del Parco replica ricordando lo scarso impatto ambientale di poche centinaia di visitatori che si muovono accompagnati da guide. Numeri che, oltretutto, capitano solo in altissima stagione.
"Troppi comunque per un equilibrio fragile come quello di Pianosa - dice Mazzantini - che non dovrebbe essere una destinazione di turismo mordi e fuggi, di bagnanti con l'ombrellone sotto braccio. I soldi del ticket e delle visite hanno permesso molte iniziative valide, ma se si vuole arrivare a un turismo scientifico e di formazione (c'è già un centro del Cnr ndr) ci vogliono le strutture, una rete fognaria adeguata, che tutt'ora manca, e soprattutto un progetto di isola condiviso da tutti che ne rispetti l'integrità".
La punta nord di Pianosa
E qui si torna agli immobili ora pericolanti (ma un tempo contesi) di Pianosa e agli interventi da fare, demolizioni comprese. Perché, va detto, non tutti gli immobili sono di valore storico: negli anni 70, 80 e 90 per le esigenze dettate dal carcere di massima sicurezza si è costruito con una certa disinvoltura. E con tanto spreco di denaro pubblico.
Un caso eclatante? Quello della Caserma Bombardi : edificio imponente di inizio 900 interamente ristrutturato a nuovo per ospitare varie decine di camere a disposizione delle Forze dell'Ordine o di personale ministeriale. Fu ultimato - arredi compresi - nel 1998 ma mai inaugurato perché il carcere aveva appeno chiuso i battenti e quindi era del tutto inutile allo scopo.
E ora, dopo aver subito vari saccheggi, è in rovina. Per come è Pianosa oggi, la Bombardi sarebbe perfetta per ospitare campi-natura di studenti o ricercatori.
Chi si prenderà l'onere di fare progetto e lavori?
La caserma Bombardi dentro la Colonia Agricola di Pianosa
Ma in generale, si arriverà mai al famoso "progetto di isola" condivisa di cui parla Legambiente? Parco, Comune, Demanio, hanno i loro progetti. Qualcuno più concreto, qualcuno meno. Pianosa aspetta.
Intanto l'inverno farà calare il silenzio sull'isola dove restano pochi detenuti e un paio di agenti a fare la custodia. Mentre il vento si intrufola nel porticciolo deserto e tra le strade bianche.
In attesa che, in primavera, nuovi visitatori vengano a scoprire le meraviglie e le cicatrici dell'Isola del Diavolo.