La caduta dell'impero romano e il conseguente dominio dei barbari pare non aver interessato Pianosa, tanto da supporre che, come la vicina Elba, all'epoca fosse del tutto disabitata o quasi.
A partire dalla seconda metà del VI secolo i longobardi, provenienti dalla Pannonia e guidati dal re Alboino, dilagano velocemente per la Pianura Padana, dirigendosi verso l'Italia centrale e meridionale, sconfiggendo ripetutamente le deboli forze bizantine.
L'espansione longobarda è costante ma il potere centrale viene minato dalla eccessiva autonomia concessa ai duchi, determinando una situazione di semi-anarchia, fino alla incoronazione di Liutprando (712-744), che porta il dominio longobardo alla massima espansione territoriale. Nel tentativo di contendere a Bisanzio i residui territori italiani, la Romagna e le Marche, Liutprando urta gli interessi della Chiesa, allora limitata al controllo del Ducato Romano. Il fallimento dell'impresa costa al re longobardo la donazione al pontefice della cittadina di Sutri, atto che viene considerato l'inizio del potere temporale della Chiesa.
I successori di Liutprando, prima Rachis e poi Astolfo, riprendono la guerra, strappando a Bisanzio i territori contesi, ma papa Stefano II invoca l'intervento di Pipino il Breve, da lui incoronato re dei franchi, che in due campagne, nel 754 e nel 756 sconfigge Astolfo e lo costringe a cedere tutte le terre conquistate alla Chiesa.
La "Donazione di Pipino", effettuata nel 755, comprendeva anche l'Arcipelago Toscano, e fu riconfermata dal figlio Carlo Magno. Il 6 aprile 774 un incontro politico si svolse presso la basilica di San Pietro a Roma, i dignitari e i legati di Carlo Magno e del pontefice Adriano I, stabilirono una linea di demarcazione ideale tra Luni e Monselice, per cui la penisola veniva divisa in due sfere di influenza: al Nord i Franchi, al Centro sud e alle isole la Chiesa, che esercitava su quelle terre la protezione, non il dominio.
Pianosa e l'Elba fecero parte dell'antica diocesi di Populonia, attestata dalle cronache ecclesiastiche sul finire del V secolo, ma che probabilmente fu abolita con il trasferimento della sede vescovile a Massa Marittima a metà dell'VIII secolo, assumendo la denominazione di diocesi di Massa e Populonia.
In seguito all'impegno dimostrato nella lotta per mare contro i saraceni, alla città di Pisa furono concessi privilegi e franchigie dall'Impero. La vittoria in una battaglia navale svoltasi proprio nelle acque dell'Arcipelago Toscano nell'874 permise a Pisa di avere in affidamento la difesa di queste isole; tale concessione divenne vera e propria sovranità pochi anni dopo il 1000; dal 1034 la Sardegna e la Corsica fecero parte integrante del territorio della repubblica pisana.
L'isola di Pianosa riaffiora qua e là nelle cronache municipali delle repubbliche marinare di Pisa e Genova, che se ne contesero il dominio, forse a causa della notevole posizione strategica, attorno al XII-XIII secolo.
Il primo assalto genovese a Pianosa sembra databile al 1088, quando i pisani si accingevano a fortificare il piccolo paese. Nel 1112 una flottiglia genovese composta da sette galere invase Pianosa, i pisani a loro volta, allestita una flotta superiore per forze e numero costrinsero i genovesi a lasciare l'isola non senza prima aver distrutto le fortificazioni e il porticciolo.
In un placito promulgato a Pisa il 9 novembre 1138 si notifica la cessione dell'isola, riconquistata, a diversi magnati cittadini del tempo, tra i quali tale Leone di Cunizio che con un atto pubblico rinunciò a metà isola, cedendola ad un non meglio specificato Balduino, arcivescovo di Pisa.
Altra incursione genovese sembra si sia verificata attorno al 1170: " Verso il 1170 era divenuto un pomo della discordia tra di essi [ Pisani e Genovesi] la fortezza lucchese di Motrone posta fra Viareggio e Pietrasanta, perché i Genovesi vi tenevano mercato, e di consenso dell'amica Repubblica di Lucca vi avevano costruiti vari edifizi che i Pisani ad ogni modo volevano distrutti. Da ciò nacque aspra pugna in cui l'oste genovese e lucchese sofferse completa disfatta, A questa però fu pari la vendetta, giacché gli ardimentosi Liguri presto ripresero il primato sul dominio marittimo, e il consolo, Corso di nome, sebbene grave di anni e capitano di sole sette galee, navigò alla volta di Pianosa, pose l'assedio alla terra ed al porto ricinto allora di grosse mura e difeso da forte rocca; e mentre una porzione delle truppe da sbarco invadeva l'isola da un lato, ei penetrò da una breccia nel castello e ne restò padrone. Ma giunse sollecito avviso che una numerosa armata era partita da Porto Pisano per sorprenderlo, quindi è che Corso distrusse all'istante i baluardi e il forte, e levata l'ancora piegò ad ostro le prue, riparando nel golfo di Bonifazio".
I genovesi sbarcarono nuovamente in forze nel 1283, accampando la scusa che gli abitanti esercitavano la pirateria. Furono così distrutte le nuove torri edificate dai pisani, depredato ed incendiato l'abitato e condotti a Genova come prigionieri 150 abitanti.
A questa incursione si riferisce lo Zuccagni Orlandini, che a sua volta cita diversi cronisti genovesi: "Preludio funesto alla totale distruzione della potenza marittima dei Pisani, fu la nuova presa di Pianosa. Tommaso Spinola, esciva dal porto di Genova nel 1283 con trentaquattro galee, anelante d'imbattersi in legni pisani. Una furiosa traversia lo respingeva sulle riviere, ma da coraggioso ed esperto navigatore raccoglieva di fianco il soffio dei libecci, e riuscivagli di afferrare le coste di Capraia. Di là partiva inosservato alla volta di Pianosa, risoluto di devastarla; stantechè, al dir del Caffaro, era già ripopolata di nuovi coloni, ma di crudele e pessima indole. Forse erano essi infesti alla navigazione dei mercatanti, poiché gli annalisti genovesi asseriscono che anche ai tempi del consolo Corso quegli isolani davano aspre molestie a chi commerciava colla Corsica e colle spiagge romane: ma lo Spinola seppe ben punirli, poiché disceso a terra co' suoi prese la borgata d'assalto, distrusse le nuove torri col ferro e col fuoco e pose in ceppi una gran parte della popolazione".
I pisani tornarono in possesso di Pianosa pochi mesi dopo, come conferma un documento, datato 5 febbraio 1284: l'arcivescovo di Pisa, Ruggero, mostrò al consiglio cittadino una lettera del suo omologo genovese che auspicava la liberazione di un suo chierico detenuto nelle "carceri pisane da quelli di Pianosa", promettendo in cambio la liberazione di "Ugolino figlio di Uguccione Vernagalli chierico suddiacono, e Pievano dell'isola di Pianosa, stato preso nel mese di aprile o maggio ultimo passato [...] detenuto nelle carceri di Genova coi laici pisani".
La disfatta pisana nella battaglia navale della Meloria (1284) renderà vano tale piano di scambio permettendo a Genova di divenire padrona di tutto l'alto Tirreno.
Pianosa tornerà sotto l'autorità di Pisa pochi anni dopo, promettendo a Genova di lasciare l'isola incolta e disabitata. Contravvenendo a tale patto, Pianosa fu ceduta in affitto dai signori di Pisa, gli Appiani, prima ad una famiglia pisana, i De Leis, in seguito alla famiglia corsa dei Landi nel 1344.
Non potendo più governare Pisa ed il suo territorio, la famiglia Appiani lo venderà a Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, nel 1399, per la somma di 200.000 fiorini d'oro. Con il ricavato Gherardo Appiani si ritirò a Piombino, dando inizio alla storia del piccolo principato, costituito da Suvereto, Scarlino, Buriano, Vignale, Populonia, e dalle isole dell'Elba, di Pianosa e di Montecristo.
I sudditi del principato si lamentarono nel 1489, presso la piccola corte degli Appiani, della presenza nell'arcipelago di pirati spagnoli, comandati da un certo Francesco Turriglia detto "fra Carlo Pirata". Jacopo IV Appiani, a sua volta, se ne lamentò col monarca spagnolo, che provvide a far allontanare i predoni.
Cesare Borgia, detto il Valentino, conquistò agli Appiani buona parte dei loro possedimenti continentali ad esclusione di Piombino che gli oppose resistenza, e lo costrinse momentaneamente a rivolgere le sue armi contro l'Elba e Pianosa, che caddero quasi subito nel 1501. Solo la morte del pontefice Alessandro VI (papa Borgia, padre del Valentino) permise al piccolo stato di riscattarsi e di tornare ai legittimi proprietari, sotto la protezione delle armi spagnole.
Una interessante descrizione di questo periodo, è offerta dalle "memorie" di Sebastiano Lambardi, un cronista settecentesco: "Nel 1501 Cesare Borgia figlio di Alessandro VI, persona di somma perfidia, e di crudeltà più che barbara, di Cardinale divenne Capitano di cento fanti datigli dal Re di Francia Luigi XII, con la città di Valenza nel Delineato, dalla quale prese il nome di Valentino, (d'onde discendono oggidì i Duchi di Valentino in Francia Signori del Principato di Monaco), mosse guerra a Giacomo IV [Jacopo VI] d'Appiano, successore di Giacomo III suo padre, e ciò fece, ajutato da'Senesi.
Avendo dunque occupato, Sughereto, Scarlino, e l'Isola dell'Elba con la Pianosa, luoghi di quella Signoria, vi lasciò gente per guardia".
Jacopo V Appiani ricevette l'investitura imperiale del feudo nel 1520 da parte di Carlo V (1500-1558), re di Spagna.